giovedì 30 aprile 2009

I sette operai della Thyssen-Krupp uccisi di nuovo dai giornalisti italiani



Mi chiamo Massimo Zucchetti e sono il più giovane professore universitario italiano di Sicurezza e Analisi del Rischio. Lavoro al Politecnico di Torino. Sono Consulente Tecnico nel Processo Thyssen-Krupp dove nel dicembre 2007 morirono bruciati fra sofferenze atroci sette operai. In data 28 aprile 2009 ho depositato al Processo la mia Relazione di 60 pagine, che ricostruisce l’evento, identifica le cause, indica i colpevoli delle sette atroci morti.

Ho inviato lo stesso giorno il sunto della mia relazione, una pagina e mezzo chiara e pesante come il piombo, ai seguenti quotidiani italiani: Repubblica, La Stampa, Il Giorno, Il Messaggero, Il Mattino, Il Resto del Carlino, La Nazione, Il Secolo XIX, Il Giornale, Leggo, Metro, Corriere della Sera, Il Tempo, L’Unità, Il Manifesto, L’Indipendente. Anche altri che ora non ricordo, ma questi i principali.

Il sunto è scritto in linguaggio non tecnico ed è chiaro e duro come il cristallo.

Nessuno di questi giornali ha reagito in alcun modo al mio invio. Soltanto il Manifesto, grazie alla presenza di un giornalista mio amico personale, ha promesso di pubblicare un articolo.

Pubblico qui su Metropolis – oltre che sulla mia pagina di Facebook - il testo che avrebbe dovuto apparire, secondo il mio parere, su ognuno di questi giornali in giusta evidenza.

Ierisera ho parlato con gli operai Thyssen ed ho cercato di spiegare loro la situazione: la situazione è che il giornalismo in Italia è ostaggio – salvo rare eccezioni – di una conventicola di servi, mestieranti ed autocompiaciuti, ignoranti ed inutili se non dannosi, indegni comunque di esercitare una professione tanto importante come quella di giornalista.

In seguito all’incendio divampato il 6/12/2007, sulla linea di ricottura e decapaggio dello stabilimento Thyssen-Krupp di Torino (d’ora in avanti TKTO), che, inizialmente, causò la morte di 1 lavoratore, l’ustione di altri 7 di cui 6 in modo così grave che decedettero nei giorni seguenti, il sottoscritto prof.ing. Massimo Zucchetti, ordinario di Sicurezza e Analisi di Rischio presso il Politecnico di Torino, è stato nominato Consulente Tecnico di Parte Civile nel Procedimento Penale in corso. La presente relazione costituisce un iniziale contributo all’analisi.

Da quanto riportato dai fatti e dalle testimonianze si può riassumere quanto segue:

  • La linea 5 funzionava in perenne palese violazione delle norme di sicurezza relative agli impianti a rischio di incidente rilevante, in quanto – ad esempio - in costante presenza di olio sul fondo dell’impianto, di residui di carta oleati ovunque, di fiamme libere e piccoli incendi praticamente costanti, in mancanza di squadre antincendio addestrate, con gli estintori scarichi, eccetera.

  • La linea 5 funzionava oltre i normali regimi per sopperire a richieste pressanti di produzione non ottemperabili dal solo stabilimento di Terni. Gli operai erano costretti a turni straordinari massacranti.

  • La linea 5 presentava evidenti malfunzionamenti dovuti ad usura e scarsa manutenzione, primo tra tutti le perdite di olio, e i frequenti guasti di tipo elettrico e meccanico.

  • I vigili del fuoco, gli addetti ai gruppi di lavoro sulla sicurezza, i periti dell’assicurazione avevano ripetutamente raccomandato nel recente passato l’adozione di un sistema automatico di spegnimento per la linea 5, in conformità a quanto previsto per impianti soggetti a rischio rilavante di incendio come quello in esame. Questa raccomandazione, adottata per analoghi impianti presso altri stabilimenti della ditta, era stata disattesa e posposta, in quanto la linea stava per essere chiusa e trasferita a Terni entro breve.

  • La manutenzione sulla Linea 5 era insufficiente ed era peggiorata nell’ultimo periodo, in vista della prospettata chiusura entro breve tempo. Le squadre di manutenzione si erano ridotte e le frequenze degli interventi riguardavano per lo più la riparazione di guasti. Ancora, la sostituzione di alcuni pezzi meccanici non avveniva con il montaggio di pezzi nuovi ma con recuperi da altre linee o spostamenti sulla linea stessa

  • Le squadre di sicurezza e antincendio erano insufficienti o inesistenti, erano costitute da personale che non aveva completato (in nessun caso, neppure una persona) l’addestramento antincendio previsto dalla legge. Le procedure di emergenza e antincendio erano carenti e l’intero apparato di sicurezza al riguardo era in patente violazione con le prescrizioni di legge.

  • Gli operai della linea 5 dovevano frequentissimamente intervenire con estintori manuali per spegnere incendi che continuamente si formavano sulla linea, senza sospendere la produzione, in violazione con il loro mansionario e le procedure.

  • In caso di incendio di “grave entità” la procedura prevedeva non già l’immediato appello dei VVFF, ma la composizione di un numero di telefono per la chiamata della squadra antincendio, peraltro inadeguata in quanto non formata con appositi corsi completi e sprovvista di mezzi adeguati di spegnimento.

    • Non vi era alcuna prescrizione o specifica scritta o procedurale che indicasse quando un incendio era di “grave entità”. Le indicazioni dell’azienda erano di provare a spegnere con ogni mezzo l’incendio da parte degli operai con gli estintori prima di dare l’allarme.

    • Era fortemente radicato il concetto per cui si doveva sopperire a qualsiasi problema evitando di interrompere la produzione. I pulsanti di emergenza non dovevano mai venire azionati per evitare la interruzione della produzione. Gli operai avevano ricevuto espresse indicazioni al riguardo dall’azienda. Emerge chiaramente, anche dall’analisi di alcuni incidenti, che vi era la indicazione generalizzata ad affrontare situazioni di rischio particolarmente elevato in modo autonomo e non in ottemperanza alle misure di sicurezza, che non erano state comunicate ai lavoratori.

    • Il pulsante di emergenza non toglie l’alimentazione elettrica alla pompa oleodinamica , quindi l’olio rimane sempre in pressione fino ai banchi valvole anche in caso di attivazione dei pulsanti di emergenza. Anche la pressione di questi pulsanti, fortemente sconsigliata dall’azienda per non interrompere la produzione, non avrebbe evitato comunque l’incendio e l’incidente.

    • I sistemi individuali di spegnimento (estintori) erano al momento dell’incidente per la maggiorparte scarichi o inutilizzabili.

    • Nessuno dei presenti all’incidente aveva ricevuto alcuna formazione specifica sul tipo di intervento da effettuare e sulle procedure da seguire in caso di un incendio di tale entità.

    • Si erano verificati nel recente passato eventi incidentali analoghi presso altri stabilimenti dell’azienda, senza che nessun rimedio venisse adottato a seguito di questi incidenti sulla linea 5.

    • Alcuni sistemi di sicurezza automatici che segnalavano la presenza di carta spuria (costituente grave pericolo) nell’impianto a seguito di malfunzionamento erano al momento dell’incidente esclusi manualmente o addirittura guasti, in palese contrasto con le norme di sicurezza.

    • Nel luogo ove si è verificato l’incendio non vi era sistema automatico di rilevazione incendi

    In ultima analisi, lo scrivente si stupisce come l’evento incidentale che ha causato la morte dei sette operai si sia verificato con tale ritardo, viste le condizioni in cui funzionava l’impianto, ovvero in palese violazione con ogni norma di sicurezza. Tutto quanto era umanamente possibile per rendere provabilissimo il disastro era stato fatto o omesso dall’azienda con incredibile e costante pervicacia. Una volta partito, la dinamica dell’evento incidentale è stata inevitabile, dati gli strumenti e la formazione dati agli operai a quali nulla si può imputare se non l’aver accettato, per non perdere il posto di lavoro, di lavorare in un impianto in simili condizioni.

    Massimo Zucchetti

    fonte :metropolis




Le relazioni sindacali in tempo di crisi



Relazioni industriali a un punto di svolta? La crisi globale in atto sembra aver ridisegnato scenari nuovi nei rapporti tra le parti sociali e i governi; emergono nuove conflittualità che credevamo lontane, mentre anche i modelli in cui tradizionalmente si sono affermate le realtà sindacali dei diversi paesi europei (il modello scandinavo, quello italiano, anglosassone, tedesco eccetera) paiono profondamente messi in discussione dalla necessità di affrontare situazioni inedite in un contesto peraltro anche globalizzato, che prevede l’irrompere dei lavoratori dei paesi dell’Est del secolo scorso.

Di questi temi – peraltro assai impegnativi – abbiamo discusso con Colin Crouch, sociologo insigne e tra i massimi esperti di relazioni industriali (cfr Relazioni industriali nella storia politica europea, Ediesse, Roma, 1996). Crouch – che nei suoi studi applica assai spesso modelli comparativistici e in cui dunque la dimensione europea dei fenomeni che analizza è sempre fondamentale – si dice convinto che i sistemi di relazioni industriali sviluppatisi in particolare negli anni ottanta e novanta siano ormai scarsamente utilizzabili per analizzare i fenomeni in corso: “Le diversità sono ormai sempre più accentuate anche all’interno dei singoli paesi: settore pubblico, grande impresa privata, piccole e medie aziende e sommerso – perché anche questo va contemplato nell’analisi – utilizzano spesso modelli assai differenti. Sto avviando proprio in questi giorni una ricerca che analizza questi aspetti, ma per avere risultati ci vorrà un po’ di tempo, si tratta di temi molto complessi”. Il punto di partenza della nostra conversazione è questo: la crisi economica mondiale arriva dopo oltre un decennio di deregulation dei mercati del lavoro e di privatizzazioni. Come incide sui modelli di relazioni industriali che si erano consolidati nel corso del ventesimo secolo? Si può dire che la crisi in atto inaugurerà una nuova tappa nella storia delle relazioni sindacali del nostro continente?

Crouch Innanzitutto una premessa. La crisi attuale è il risultato di un sistema economico, quello angloamericano, fondato sul debito privato che, a sua volta, è diventato parte integrante del modello delle relazioni industriali in atto in quei paesi e, in particolare, negli Usa. 

Il Mese In che modo? 

Crouch Negli anni ottanta negli Usa la questione principale fu: come assicurarsi la conservazione di un popolo di consumatori fiduciosi in presenza di un mercato del lavoro che, invece, creava una progressiva insicurezza. La soluzione – trovata all’inizio un po’ casualmente ma successivamente incoraggiata anche da specifiche politiche pubbliche – fu quella di separare la capacità di consumo delle persone dalle condizioni del mercato del lavoro. E tutto ciò è stato possibile sulla base di due fattori: la costante crescita del valore delle case e la possibilità di avere prestiti dalle banche proprio a partire da questo valore immobiliare e, dunque, senza una reale garanzia, perché poi i rischi di questi prestiti venivano spalmati e condivisi dagli istituti di credito sui cosiddetti mercati secondari. Questo è il modello neoliberista che ora sta crollando, ma che per un po’ ha funzionato: far sì che un lavoratore insicuro fosse, ripeto, allo stesso tempo, un consumatore fiducioso, perché solo da un livello alto dei consumi dipende la tenuta del sistema capitalistico. È per questi motivi che la crisi in atto coinvolge totalmente il sistema delle relazioni sindacali. 

Il Mese È successa la stessa cosa anche in Europa? 

Crouch No. In Italia, Germania – ma anche in Giappone – i governi hanno accettato la deregolamentazione dei mercati senza che si fosse però in presenza dell’altro aspetto, ovvero l’indebitamento dei consumatori. Il risultato è che queste economie sono rimaste quasi ferme. A questo punto, ora che il modello “nemico” è caduto, la sfida dei sindacati è questa: dare il proprio contributo alla costruzione di sistemi di relazioni industriali e di politica sociale che tengano insieme flessibilità e sicurezza, per esempio secondo il modello scandinavo. Questa potrebbe essere un’alternativa al modello angloamericano. È una sfida importante perché se fallisce, i governi e le élites economiche troveranno più conveniente ristrutturare il modello ora andato in crisi. 

Il Mese Lei crede che il modello scandinavo della flexicurity possa essere una strada giusta da seguire una volta superata la crisi globale? 

Crouch Certo, si tratta di un modello interessante, che tuttavia può essere esportato solo laddove esistono alcune condizioni imprenscindibili. Tra queste ci sono senz’altro: un welfare forte e strutturato, un’effettiva partecipazione delle donne al mercato del lavoro e un sistema di formazione continua ben funzionante sia per chi è in cerca di lavoro sia per chi già lavora. Se queste condizioni mancano, la flexicurity si traduce fatalmente in precarietà. 

Il Mese Quale ruolo potranno svolgere i sindacati e le associazioni dei datori di lavoro in un momento di profonda crisi come questo?

Crouch Negli anni recenti le imprese hanno generalmente preferito rapporti diretti con i governi, saltando anche la rappresentanza delle proprie associazioni Quest’approccio è ovviamente funzionale alle grandi aziende, ed è utile sia per escludere i sindacati sia per ritagliarsi un influente ruolo di insider. È un modello di tipo americano e fa parte integrante di quel sistema complessivo che comprende anche la finanziarizzazione dell’economia. In questi mesi questo modello – che per tanti anni è sembrato assai potente e anche affascinante – sta crollando e con l’arrivo di Obama gli stessi americani stanno mostrando verso di esso un’insofferenza maggiore persino, forse, di quella delle élites europee. È l’occasione giusta per sfidare apertamente quel sistema in tutti i suoi aspetti e dunque anche rispetto all’esclusione, che esso comporta, dei sindacati e delle associazioni di rappresentanza. Penso che le imprese potrebbero privilegiare un comportamento più rispettoso della dimensione “collettiva” delle relazioni industriali, soprattutto in un contesto in cui sentono più incerte le proprie prospettive e pertanto potrebbero avvertire l’importanza di avere buoni rapporti con i sindacati. Però c’è anche un rischio: e cioè che, se il mercato del lavoro continuerà a indebolirsi drasticamente, le imprese trovino più conveniente emarginare totalmente i sindacati e i bisogni dei lavoratori. In quest’ultimo caso, tuttavia, sarebbero i governi ad aver bisogno dei sindacati, perché essi non possono ignorare i propri elettori che, non va dimenticato, sono anche lavoratori. 

Il Mese Per rispondere alla crisi di liquidità in atto, e per cercare di sostenere le aziende in crisi, i governi stanno immettendo risorse sul mercato. Quale tipo di effetti potranno avere sul sistema delle relazioni tra le controparti gli interventi di salvataggio realizzati con soldi pubblici? 

Crouch Al primo posto metterei i problemi che riguardano la “competizione” che potrebbe nascere tra i diversi settori produttivi. Per stare all’Italia, perché aiutare banche e auto e non, ad esempio, il comparto del made in Italy? Insomma, le azioni dei governi finiscono per stabilire una gerarchia dell’importanza percepita dei diversi settori. In secondo luogo, va sottolineato come i settori sostenuti si troveranno poi in una situazione di dipendenza diretta dalle politiche pubbliche. Come si tradurrà questo rispetto alle relazioni sindacali? Nel passato la regola è stata che le imprese statali, ovvero dipendenti dai governi, dovessero avere relazioni assolutamente corrette con i sindacati e i lavoratori. È importante che anche oggi si insista su questo aspetto. 

Il Mese Passiamo ora ai sindacati. Lei crede che con una crisi così radicale in atto ci sia un rischio di protezionismo sociale da parte delle organizzazioni europee dei lavoratori? È possibile che i sindacati rivendichino che il lavoro in un paese debba andare ai cittadini di quello stesso paese, come pure è accaduto qualche mese fa in Gran Bretagna per i lavoratori italiani che lavoravano in appalto per la Total? 

Crouch Sì, il rischio c’è ed è serio. Ci si sente ancora come membri di nazioni diverse piuttosto che di una stessa classe sociale. Inoltre la tendenza è quella di indirizzare il proprio malcontento solo verso i governi nazionali, producendo in questo modo quella chiusura di cui lei parlava. Capitalismo globale e democrazia nazionale: questo è uno dei problemi cruciali della nostra epoca. 

Il Mese Quello che lei sostiene spiega anche perché il sindacato europeo non riesca ancora ad affermarsi pienamente? 

Crouch Sì, e tuttavia sarebbe anche ingiusto ignorare i progressi che il sindacato europeo ha realizzato negli ultimi decenni: si può dire senz’altro che almeno si è sviluppato un luogo di dialogo e di discussione, oltre al fatto che alcune azioni comuni sono state promosse e realizzate. Più in generale, più importanti e dinamiche diventano le istituzioni europee, più crescono i germi democratici dell’Europa, che sono essenzialmente il Parlamento e, appunto, il sindacato. Certo, negli ultimi anni questo processo ha anche dovuto subire delle frenate. Penso all’entrata in Europa di Stati con economie e società molto diverse tra di loro; alla crescente accettazione di un’ottica neoliberista da parte dell’Unione europea e della stessa Corte di giustizia europea – con le sentenze sul caso Laval e simili – che impedisce un’integrazione positiva a favore di un’integrazione tutta negativa e consegnata al mercato; sta pesando, infine, una certa rinazionalizzazione della politica, attuata da quasi tutti gli Stati membri che subiscono le pressioni dei movimenti populisti e xenofobi dei propri paesi. 

Il Mese In tutta Europa stiamo assistendo a una grande quantità di scioperi e manifestazioni contro la crisi molto partecipati. Non solo in Italia, con la manifestazione della Cgil del 4 aprile, ma anche in Francia, dove pure gli iscritti ai sindacati sono relativamente pochi. Cos’altro possono fare i sindacati in tempi come questi? 

Crouch I sindacati devono puntare ad avere un ruolo forte e istituzionale nelle realtà in cui operano. In questo modo possono ricavarsi uno spazio prezioso nel formulare proposte per superare la crisi. Certo, quando i sindacati vengono esclusi da questo coinvolgimento, non rimane altro che la piazza e l’irruzione della rabbia, genuina, delle persone. In fondo il potere dei lavoratori dipende molto dalla loro capacità di esprimere rabbia verso le ineguaglianze e l’arroganza dei potenti, come in questo caso le banche e le altre istituzioni finanziarie. Anche per questo è importante includere i sindacati nei processi decisionali ufficiali.

(da Il Mese)

29/04/2009 14:59

mercoledì 29 aprile 2009

LE REGIONI: IL POLPETTONE PREPARATO DA SACCONI E' IMMANGIABILE.



L'avventurosa riscrittura del d.lgs 81/08, il Testo unico su salute e sicurezza vigente da un anno, ha subito una prima bocciatura istituzionale. Le Regioni, con le eccezioni di Lombardia e Abruzzo, hanno ritenuto che lo schema proposto dal ministro Sacconi sia irricevibile.
E' la prima battuta d'arresto per il disegno politico e ideologico di deregulation promosso dal ministro. La costruzione tutta ideologica di un sistema di gestione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro basato sui controlli affidati ad Enti bilaterali delle parti sociali e con una cessione agli Enti bilaterali  di competenze in materia proprie della pubblica Amministrazione è apparsa non credibile e foriera di pericolosi conflitti d'interesse a discapito della tutela della salute dei lavoratori. Le aberrazioni giuridiche contenute negli articoli 2 bis  e 10 bis non potevano essere accolte come proposte d'innovazione: sono state valutate per quello che sono:  escamotages per "salvare" i manager e i dirigenti responsabili di gravi negligenze rispetto alla adozione e alla supervisione di sistemi efficaci di gestione dei rischi nei luoghi di lavoro. Il tentativo di "scaricare" verso il basso della gerarchia aziendale fino ai lavoratori  responsabilità indebite è, per ora, bloccato.

Per quanto poi riguarda il ruolo degli Enti bilaterali enfatizzato a dismisura dal ministro con l'attribuzione a questi di compiti dicertificazione  di conformità occorre essere molto realisti: gli Enti bilaterali sono strutture  private, per loro natura esposte alla discontinuità operativa in ragione dei conflitti d'interesse di cui sono portatrici, pertanto non possono nè debbono svolgere funzioni proprie della pubblica amministrazione come la vigilanza e le ispezionI.........CONTINUA SU FONTE>>>>http://www.diario-prevenzione.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1014&Itemid=53

Crisi: Epifani, il governo ha fatto troppo poco



LE MISURE ANTICRISI 
"Per questa crisi il governo ha fatto troppo poco", ha detto Epifani. "Il governo non toccando saldi di bilancio ha dovuto fare come nel gioco delle tre carte, spostando poste di bilancio - ha aggiunto - L'unica cosa che serviva era il raddoppio delle settimane Cig e questo non è stato fatto. Per l'Aquila si utilizzano risorse che erano state accantonate a Palazzo Chigi per investimenti in politiche industriali e infrastrutture" ha detto ancora Epifani, aggiungendo che "il risultato è che avremo tutti i saldi di finanza pubblica appesantiti". 

FIAT-CHRYSLER

L'accordo Fiat-Chrysler "nell'immediato è una grande operazione, un'operazione con i fiocchi, anche psicologica" ma in cui "il mercato non c'entra". In questa operazione, ha sottolineato Epifani, "non c'entra il mercato" perché si fa "grazie al governo statunitense, con il suo sostegno attivo e con il sacrificio attivo dei lavoratori. Dal punto di vista del mercato non c'é niente".  Il leader sindacale mette in guardia da un possibile accordo con Opel, perché "comporterebbe una maggiore concorrenza ed avrebbe maggiori riflessi sulla produzione in Italia". "C'é un problema sugli stabilimenti italiani la cui sorte non può restare appesa ad un filo" ha detto Epifani.
SERVE OPPOSIZIONE FORTE 
"In un Paese che ha un governo forte ci vuole un'opposizione molto forte". Per questo - ha aggiunto - l'opposizione deve avere "una maggiore identità e maggiore forza" e in questo la "battaglia della Cgil è vicina a quella del Pd". Ma, ha aggiunto il leader della Cgil, il rapporto tra governo e opposizione non deve limitarsi ad un rapporto tra due leader.
INSULTI DI BONANNI SEGNO DI DEBOLEZZA
"Insultare gli altri è un segno sbagliato e di debolezza". Così Epifani replica alle accuse lanciate dal segretario della Cisl, Raffaele Bonanni. "Il confronto dovrebbe sempre essere ispirato al rispetto reciproco, cosa che il segretario della Cisl non fa mai. Mi chiedo il perché di questi continui insulti: o nasconde assenza elementi di merito o nasconde paure" ha aggiunto Epifani.
CONTRATTI
Gli accordi separati sulle regole non hanno senso e sarebbe stato opportunorimandare a crisi finita l'adozione di un nuovo modello contrattuale. "E non firmeremo accordi che si rifanno a modelli sbagliati e che non abbiamo condiviso. L'accordo che non ha la firma né il voto della Cgil diventa autoreferenziale", ha precisato Epifani. "Quella modalità apre una grande questione democratica che è fatta di due aspetti: è arrivato il tempo in cui misuriamo la rappresentatività e bisogna fare sì che in tutti gli accordi aziendali i lavoratori possano e debbano avere l'ultima parola. Questo - ha concluso - è anche il modo di superare i dissensi tra di noi quando ci sono".
SPRECHI NELLA SANITA' 
Tolleranza zero verso sprechi e ruberie e estensione dei modelli d'eccellenza che funzionano. E' questa la strada da percorrere sulla sanità in Italia secondo il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. "Abbiamo una situazione nella sanità paradossale perché questa crisi mette in luce la grande superiorità del welfare europeo rispetto a quello americano. E non a caso Obama sta investendo in sanità, ha detto Epifani, durante un forum all'ANSA." Se questo è incontestabile un paese europeo dovrebbe fare la stessa operazione. In Italia dobbiamo affrontare due problemi: da un lato ci sono sprechi e ruberie verso cui va fatta tolleranza zero, dall'altra bisogna prendere i modelli di eccellenza e farne una modalità per tutte le regioni".
PRIMO MAGGIO 
Un primo maggio all'insegna della sobrietà con due messaggi: solidarietà e ricostruzione. Sarà così che il sindacato celebrerà dopodomani all'Aquilacome ha spiegato il segretario generale della Cgi. Il nostro primo maggio - ha spiegato poi Epifani - lo faremo con "assoluta sobrietà, portando delegazioni dal resto del paese e per mandare due messaggi, uno è quello della solidarietà, l'altro è il nostro impegno a lavorare per la ricostruzione produttiva e occupazionale". "Credo - ha poi proseguito - che di fronte a una tragedia come L'Aquila, o di fronte a problemi che la crisi determina nella condizione di quei lavoratori che vanno in cassa integrazione, perdono il posto di lavoro, un sindacato degno di questo nome deve provare a lavorare e a restare unito".
ETICA, PROFITTI E LAVORO 
"Bisognerebbe uscire dalla crisi rivalutando l'esigenza etica di costruire i profitti attraverso il lavoro: questa credo che sia la vera scommessa che sta davanti a noi. Ricostruire il mondo in cui le logiche marciano intorno a lavoro". ''Spero - ha aggiunto - che ci sia questo da parte delle imprese, da parte di chi deve regolare mercati, da parte dei mezzi di comunicazione, l'esigenza di ritornare ad assumere il lavoro nella sua centralità".
29/04/2009 Il segretario generale della CGIL Guglielmo Epifani ospite di un forum all'ANSA
fonte CGIL.IT

PRIMO MAGGIO


ENTI BILATERALI:COGESTIONE PERICOLOSA
Forse il Primo Maggio le bandiere di Cgil, Cisl e Uil torneranno a sventolare insieme nella stessa piazza. È un evento di questi tempi. I vertici delle tre confederazioni sindacali non sono mai stati così divisi, al limite dell´incomunicabilità. Li separa una visione diversa non solo delle regole della contrattazione, ma anche del ruolo del sindacato. È una frattura che si consuma in gran parte sulla nozione di bilateralità tornata in auge in questa legislatura soprattutto per iniziativa del ministro Sacconi.Cos´è la bilateralità? Il riferimento storico è all´esperienza dei cosiddetti "enti bilaterali", presenti soprattutto tra gli artigiani, nell´edilizia e in agricoltura. Si tratta di associazioni formalmente non riconosciute, volte a gestire risorse comuni a più imprese, come assicurazioni contro la disoccupazione e fondi che finanziano riduzioni temporanee di orario in alcune aziende, in collaborazione fra datori di lavoro e organizzazioni dei lavoratori. Ma il Ministro Sacconi, che infila un richiamo alla bilateralità in ogni suo discorso, ne ha in mente un´accezione più estrema. In una recente riunione dei quadri sindacali della Cisl, ha definito la bilateralità come una forma di "controllo sociale organizzato", di "governo del mercato del lavoro". E intende estenderla oltre che alla gestione delle cosiddette politiche attive del lavoro, alla scelta dei beneficiari degli ammortizzatori sociali, alla fornitura di servizi di collocamento a chi è in cerca di lavoro, alla gestione della legge Bossi-Fini sull´immigrazione, ai controlli sul rispetto delle norme sulla sicurezza sui posti di lavoro e, addirittura, alla gestione di previdenza e sanità. Passo dopo passo. Il termine forse più appropriato per questa strategia del titolare del dicastero di via Veneto dovrebbe essere delega alle parti sociali di funzioni altrimenti (e altrove) esercitate dallo Stato. 
Ci sono tante ragioni per ritenere questa strategia inquietante, se non pericolosa. Primo, anche in un paese, come il nostro, con un´amministrazione pubblica inefficiente, non è affatto detto che le parti sociali siano più efficienti dello Stato nella gestione di risorse pubbliche. Pensiamo a cosa sono state le politiche attive del lavoro in Italia, gestite sin qui all´insegna della bilateralità. Costano di più degli strumenti di sostegno al reddito dei disoccupati, assorbono quasi due miliardi di euro all´anno, senza che esista alcuna valutazione sistematica della loro efficacia. Il sospetto legittimo è che molti corsi di formazione gestiti dagli enti mutualistici servano unicamente a finanziare i formatori anziché a offrire nuove opportunità professionali a chi dovrebbe essere riqualificato. Secondo, anche quando le risorse vengono gestite in modo abbastanza efficiente – è il caso della Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria (Cigo) i cui costi, come è giusto, quasi si azzerano durante le fasi espansive per aumentare solo nelle fasi di recessione – la gestione bilaterale tende a essere fortemente selettiva, riguarda solo una minoranza di lavoratori e di imprese, quelli rappresentati dai sindacati e da Confindustria. Quindi la delega finisce per accentuare la selettività, l´iniquità, dei nostri strumenti di sostegno al reddito. In questi giorni, ad esempio, il Governo ha concesso alle parti sociali un´estensione della durata della Cigo. Bene, ma il vero problema è che la Cigo oggi è accessibile solo da un lavoratore su quattro. E agli altri, chi ci pensa? Terzo, quella concessa dal Governo non è mai una delega in bianco. Si offrono potere e risorse sempre in cambio di qualcosa. Legittimo trovare compensazioni per alcuni gruppi di interesse quando si devono attuare delle riforme. Ma in nome di quale progetto il Governo sta oggi cercando di comprare il consenso di parte del sindacato o delle organizzazioni datoriali? Vuole riformare le pensioni o il mercato del lavoro, intaccando alcuni interessi presidiati da queste organizzazioni? Oppure vuole tagliare molti trasferimenti alle imprese cristallizzatesi nel corso del tempo, razionalizzando la spesa pubblica? Non si ha alcuna traccia di queste riforme. Tremonti, Brunetta e Sacconi le escludono a priori. L´impressione è che l´esecutivo voglia solo garantirsi un atteggiamento compiacente verso l´immobilismo che ha contraddistinto sin qui la sua strategia di politica economica, magari riuscendo anche a dividere il sindacato. Certo, si dirà, in tempi di crisi è bene garantirsi la pace sociale, non avere organizzazioni sindacali o datoriali sul piede di guerra. Vero, ma il rischio è che le tensioni sociali e distributive che non trovano voce nel sindacato cerchino altrove espressioni ben più conflittuali e pericolose per la coesione sociale. Il caso francese, dove il sindacato praticamente non esiste più sui posti di lavoro, è eloquente riguardo alle degenerazioni cui la crisi può portare. Guai, dunque, se la "bilateralità" proclamata in tutte le occasioni dal Ministro Sacconi venisse vissuta dai lavoratori come una strategia per comprare il consenso di chi li dovrebbe rappresentare, come a una specie di "lato b" del sindacato. La bilateralità va difesa come esperienza locale di cooperazione soprattutto fra piccole imprese e lavoratori sul territorio, nel promuovere risorse comuni, private, come i marchi di qualità. Può essere un buon strumento integrativo, che si aggiunge, ma non sostituisce, a prestazioni fornite dallo Stato. Forse ci dovrebbe essere una denominazione di origine controllata anche per il termine "bilateralità": cooperazione spontanea, volontaria, fra organizzazioni di lavoratori e datori di lavoro nella gestione di servizi comuni. Senza alcuna delega, senza alcuna spinta (e relativo trasferimento), dallo Stato. 
Tito Boeri
29/04/2009 |  Repubblica |  Sindacato
FONTE ;www.cgil.it

Sicurezza lavoro



Sicurezza lavoro, Regioni bocciano riforma Sacconi

Il decreto correttivo al testo unico sulla sicurezza sul lavoro elaborato dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi non piace alle Regioni.  Tutte, con l'esclusione della Lombardia, hanno infatti bocciato oggi in sede di Conferenza delle Regioni il testo proposto dal Governo, esprimendo un parere negativo. Tra le motivazioni addotte ci sarebbe l'invasione delle competenze regionali.

29/04/2009 14:55

fonte:http://www.rassegna.it/articoli/2009/04/29/46363/testo-unico-le-regioni-bocciano-sacconi

martedì 28 aprile 2009

norma salva manager





Appello a Napolitano contro l'art 10 bis del decreto correttivo del Testo Unico "Con quella norma i vertici aziendali non sarebbero più obbligati ad impedire morti o feriti"

Penalisti contro la 'salva manager' "E' da cancellare non da riscrivere"

Secondo i docenti che hanno sottoscritto il documento non basta l'impegno del ministro Sacconi "Si applicherebbe anche per il passato, ossia ai processi in corso, come Thyssen ed Eternit" di GIOVANNI GAGLIARDIROMA - "Qui non si tratta di riscrivere una norma, bisogna cancellarla". Contro la norma "salva manager" contenuta nel decreto correttivo al Testo unico sulla sicurezza del lavoro del governo, non usa mezzi termini il professor Giorgio Marinucci, ordinario di diritto penale all'Università statale di Milano. In particolare, bersaglio degli attacchi più duri è l'articolo 10 bis, che già si è attirato una valanga di critiche, a cominciare dal presidente Giorgio Napolitano. Il capo dello Stato, insieme al presidente della Camera, Gianfranco Fini, non aveva risparmiato strali proprio contro quella norma, duramente osteggiata anche dalla Fiom, perché sospettata di portare all'assoluzione dei dirigenti della ThyssenKruppIL TESTO DELL'APPELLO DEI PENALISTI  Il professor Marinucci con una settantina di colleghi "professori di diritto penale e di altre discipline giuridiche", ha sottoscritto un appello a Napolitano per puntare il dito contro una norma che "esonera da responsabilità i soggetti (datore di lavoro e dirigenti) che rivestono posizioni apicali nell'impresa: non sarebbero più obbligati - dicono i firmatari del documento - ad impedire eventi lesivi o mortali nei luoghi di lavoro quando a concausare gli eventi siano condotte colpose di altri soggetti".  "Spogliando i soggetti che rivestono posizioni al vertice dell'impresa del loro indiscusso ruolo di garanti della vita e dell'incolumità fisica dei lavoratori", affermano i giuristi, "si apporta una profonda deroga alla disciplina generale della responsabilità omissiva, disciplinata dall'art. 40 comma 2 del codice penale, stabilendo che nei reati commessi mediante violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni ed all'igiene sul lavoro i vertici dell'impresa non sono più responsabili, quando l'evento morte o lesioni personali "sia imputabile" al fatto colposo del preposto, dei progettisti, dei fabbricanti, dei fornitori, degli installatori, del medico competente o del lavoratore". 
Il timore è che venga meno il dovere di controllo da parte dei vertici delle aziende. Dunque, per i giuristi, quell'articolo non può essere riscritto, perché "finisce per creare una eccezione ad un principio del codice penale", sottolinea Marinucci, che porta come esempio la figura del direttore di giornale "che deve fare in modo di impedire reati a mezzo stampa", o il bagnino in piscina "che è garante della vita delle persone nella struttura". E nessuna legge può stabilire una deroga al principio del controllo. ...........continua su fonte>>
http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/cronaca/incidenti-lavoro-3/appello-giuristi/appello-giuristi.html

CASSAI NTEGRAZIONE: NUOVE REGOLE



Cassa integrazione flessibile. L'Inps pubblica le nuove regole

di Giorgio Pogliotti

Per la cassa integrazione ordinaria il limite di durata delle 52 settimane verrà calcolato sulle singole giornate di sospensione dal lavoro e non più sulle settimane. 
La novità è prevista dalla circolare dell'Inps numero 58, emanata ieri d'intesa con il ministero del Lavoro, che rendendo più flessibile il criterio di computo dei limiti temporali della Cig ha l'effetto di allungare il periodo di effettivo utilizzo. La cassa integrazione può essere concessa per un massimo di 13 settimane, più eventuali proroghe fino a 12 mesi, ma finora veniva conteggiata una settimana anche per un solo giorno di utilizzo. La circolare, invece, stabilisce che si considera una settimana «solo allorchè la contrazione del lavoro abbia interessato sei giorni, o cinque in caso di settimana corta». Da oggi le aziende dovranno comunicare all'Inps quanti giorni hanno effettivamente usufruito di Cig (sommando i singoli giorni diviso 5 o 6) per consentire all'Istituto di calcolare il numero reale di settimane. 

Il raddoppio della durata è chiesto da tempo dalle parti sociali, allarmate per la crisi che, come ha rilevato l'Inps, ha prodotto un incremento della Cigo del 925% (nel trimestre +589% sul 2008), mentre la Cigs è cresciuta il mese scorso del 102% (nel trimestre +51%). «Noi abbiamo risposto a questa esigenza – ha spiegato il ministro Sacconi – attraverso il calcolo per giorni e non per settimane e mesi della Cig ordinaria e l'aggiunta di una forma di una Cig straordinaria, fondata sul criterio ordinario della crisi globale». Sacconi fa riferimento ad un'altra circolare Inps che consente alle aziende di ricorrere più facilmente alla Cig straordinaria ottenendo così un ulteriore anno di sostegno, indicando la "crisi di domanda globale" come causale. Ricordiamo che l'importo del trattamento ordinario corrisponde all'80% della retribuzione ma non può superare il limite mensile di 858 euro (elevato 1.031,93 se la busta paga supera 1.857 euro). Dal sindacato la Cgil resta critica: «Il nuovo meccanismo di calcolo è solo una risposta parziale – sostiene Fulvio Fammoni (Cgil) – bisogna raddoppiare la durata della Cig ordinaria portandola a 104 settimane, visto che molte aziende sono vicine al termine delle 52 settimane. Serve un intervento immediato, lo chiedono anche le imprese, basta con gli appelli». Positivo, invece, il giudizio di Cisl e Uil. «È stata accolta una richiesta del sindacato – aggiunge Giorgio Santini (Cisl) – che dà sostanza all'appello lanciato dal ministro Sacconi per evitare i licenziamenti. Le aziende a questo punto hanno un ampio ventaglio di strumenti da utilizzare per mantenere più a lungo possibile il rapporto di lavoro». Sulla stessa lunghezza d'onda Guglielmo Loy (Uil): «Si danno maggiori certezze contro i licenziamenti – afferma – ma va garantita una gestione semplice e veloce dell'accordo Stato-Regioni per gli ammortizzatori in deroga destinato a chi non può utilizzare gli strumenti ordinari. Le risorse regionali e nazionali potranno tutelare oltre 300mila lavoratori di piccole imprese e di settori non industriali».
FONTE ILSOLE 24 ORE.COM

Settore auto



Fiat convince solo i sindacati esteri
Chrysler: dopo il sì di quelli canadesi, accordo sul taglio dei costi anche con gli americani. E in caso di acquisto di Opel, garantisce che non chiuderà le fabbriche tedesche. La preoccupazione della Fiom: "Ora decida cosa vuole fare anche in Italia"
di Emanuele Di Nicola
E’ arrivato anche l’accordo con il sindacato americano. Nella giornata del 25 aprile Fiat, Chrysler e il governo Usa hanno raggiunto un’intesa con la Uaw, l’organizzazione dei lavoratori dell'industria automobilistica statunitense. Il testo accetta di tagliare il costo del lavoro in cambio delle concessioni e facilitazioni finanziarie previste dall'amministrazione Obama. In particolare, a quanto si apprende, vengono accolte le proposte dell’azienda sulla riduzione complessiva di 19 dollari orari e la ristrutturazione del fondo pensioni, che consentiranno di risparmiare circa 200 milioni di dollari l’anno. Un accordo “doloroso”, dice il sindacato in una nota, che però “consentirà di sfruttare una seconda chance per la sopravvivenza di Chrysler”. Il termine per ratificare l’intesa è mercoledì 29 aprile.

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