martedì 28 luglio 2009

Difendere il contratto nazionale, il salario e l’occupazione


Gli accordi separati di Cisl e Uil sulla contrattazione, scritti e imposti da confindustria e governo, incominciano a dare i loro risultati, molto pesanti per i lavoratori.
Invece di occuparsi degli aumenti salariali per il secondo biennio del contratto nazionale dei metalmeccanici in vigore, Fim-Cisl e Uilm-Uil , in obbedienza a quegli accordi, hanno disdetto il contratto in vigore e hanno presentato una piattaforma per un nuovo contratto, consultando solo i loro iscritti ( meno del 20% dei lavoratori metalmeccanici ).
La loro piattaforma richiede aumenti salariali inferiori a tutti quelli chiesti in passato(113 euro lordi al 5° livello in tre anni),concede ulteriore flessibilità ammettendo deroghe aziendali al contratto nazionale, rende qualsiasi aumento contrattato in azienda del tutto variabile e mai certo, istituisce arbitrati e "enti bilaterali" che svuotano i diritti sindacali.

Una vergogna!

Con questa richiesta un operaio di 3° livello avrà un aumento in busta paga di 20 euro netti ogni anno per i prossimi tre anni e,con questa elemosina dovrà difendere il suo potere d’acquisto da tutti gli aumenti ,bollette, benzina ecc...
Lo svuotamento del contratto nazionale e’ tanto più grave vista l’esperienza dei contratti aziendali, in particolare di quello Piaggio, che ha dimostrato a tutti la malafede di chi sostiene che la riduzione dei salari nel contratto nazionale viene compensata dai contratti aziendali.
La verità e’ che confindustria e governo, con l’aiuto di sindacati compiacenti, intendono abbassare ulteriormente i salari e ridurre la contrattazione a una farsa che i lavoratori dovrebbero subire in silenzio.
Per questi motivi la Fiom rifiuta l’accordo separato e presenterà, come previsto dal contratto in vigore, richieste economiche per il biennio 2010-ll :

• 130 euro lordi per il 3°, 4°, 5° livello in due anni;
• 35 euro mensili per i lavoratori senza contratto integrativo aziendale;
• la corresponsione degli aumenti anche ai lavoratori in cassa integrazione;
• la completa detassazione di tali aumenti;
• il blocco dei licenziamenti per le aziende in crisi.

I lavoratori si fanno sentire...

Contro gli accordi separati e l’attacco al salario e ai diritti si stanno mobilitando i lavoratori in diverse fabbriche, dalla Fincantieri, dove un accordo firmato da Fim e Uilm e’ stato respinto da un ondata di scioperi,la trattativa e’ stata riaperta e ha portato ad un contratto aziendale ben diverso; alla Fiat, dove l’azienda ha proposto un pagamento del premio di risultato inferiore a quello dell’anno precedente ( proprio come sta’ avvenendo in Piaggio) della metà ed ha ottenuto la firma di Fim e Uilm.
La Fiom non ha firmato ed ha indetto scioperi in questi giorni.
Bisogna continuare su questa strada, per fermare l’offensiva padronale, difendere il salario e il posto di lavoro, rafforzare i contratti nazionali per ottenere aumenti salariali veri e sicuri per tutti e ricostruire la forza e l’organizzazione dei lavoratori.

Questo e’ il significato della piattaforma che la Fiom sottoporrà al voto di tutti i lavoratori nei prossimi giorni.

Fiom Piaggio

Cisl e Uil riducono il salario e i diritti contenuti nel contratto nazionale, regalando alle imprese enormi spazi di autoritarismo e discriminazione


Addio diritti, arriva l'«universalismo selettivo»

Universalismo selettivo. E' questa la definizione da brivido che il libro bianco di Sacconi dà dei nuovi principi che dovrebbero governare i diritti sociali. L'uguaglianza, sostiene il libro bianco, è vecchia e in ogni caso non più sostenibile né per i suoi costi nei servizi pubblici, né per le esigenze di competività che impone il mercato. Si può solo selezionare la scala e il valore dei diritti e assegnarli in base al merito.
Questa filosofia ispira tutte le scelte fondamentali di politica economica e sociale del governo, le decisioni delle imprese, la politica contrattuale della Confindustria. E' così che in realtà si affronta la crisi: aumentando ancora le disuguaglianze che l'hanno provocata.
Un ultimo esempio di questa impostazione lo abbiamo nelle università. Dove una classifica di "meriti" stabilita insindacabilmente dal governo stabilisce chi avrà e chi non avrà i soldi fondamentali per studiare e ricercare. Con il merito si giustifica tutto, ma la sostanza è che basterebbe sostituire a quella parola una più precisa: "discriminazione" e avremmo il significato reale di ciò che si fa. Il merito non serve a premiare i più bravi con un di più rispetto a quanto, secondo la Costituzione, dovrebbe essere garantito a tutte e a tutti. Il cosiddetto merito serve a discriminare proprio nell'accesso ai diritti fondamentali. Interpretano bene questa impostazione quei politici vicentini che sostengono che i presidi debbano essere solo del posto.
Se i diritti per tutti non ci sono più, bisogna selezionare. Contro i migranti prima vengono gli italiani, contro gli italiani prima vengono i padani. Contro i padani prima o poi verranno i padani con gli occhi azzurri e i capelli biondi. Non c'è fine all'orrore che provoca la rinuncia ad affermare i diritti universali. Il federalismo accentuerà tutte queste discriminazioni. Già oggi abbiamo, di fronte ad una crisi uguale per tutti, venti diversi sistemi di cassa integrazione a seconda delle differenti regioni italiane. Il pacchetto anti crisi e tutta l'impostazione della prossima finanziaria si basano sulla scelta di ridurre le spese che possono garantire lavoro e diritti per tutti, selezionando, invece a chi dare e a chi togliere.
L'accordo separato sui contratti, che Fim Uilm e Confindustria, contro la Fiom, stanno ora applicando nel rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici, trasferisce l'universalismo selettivo nelle relazioni sindacali. Si riducono il salario e i diritti contenuti nel contratto nazionale, regalando alle imprese enormi spazi di autoritarismo e discriminazione nella gestione delle aziende.
Così mentre si calano i salari del contratto nazionale, la Fiat taglia i soldi del premio aziendale e se i lavoratori si ribellano, come in particolare sta avvenendo a Melfi, è la stessa organizzazione degli industriali, la Federmeccanica, a chiedere la condanna di quelle lotte giudicate irresponsabili. La selezione, la discriminazione nei diritti fondamentali non possono che accompagnarsi a un attacco a fondo alla democrazia. Uguaglianza e democrazia vivono assieme e se si mina l'una si svuota profondamente l'altra.
E' abbastanza chiara la minaccia che il governo Berlusconi rappresenta rispetto alla democrazia nelle istituzioni fondamentali nella Repubblica. E' meno evidente invece che questo autoritarismo istituzionale si fonda su un'aggressione continua a tutti i diritti democratici diffusi. Gli industriali metalmeccanici vogliono imporre un contratto che riduce i salari e i diritti con un accordo separato con Fim e Uilm, che sono in netta minoranza tra i lavoratori. I quali, ovunque abbiano potuto farlo, hanno sonoramente bocciato la controriforma del sistema contrattuale.
Se si riducono i diritti si riducono anche gli spazi di democrazia per le vittime dell'ingiustizia. Per questo lo scontro contrattuale nei metalmeccanici, l'aggravarsi della crisi e l'attacco all'occupazione, le misure selettive e discriminatorie del governo sono un tutt'uno. E in autunno possono diventare l'occasione per un grande scontro sociale. Finora, con poche eccezioni, la politica ha totalmente subito la filosofia e la pratica della selezione sociale, volute dal governo e dai padroni. In autunno lo scontro ci sarà e la politica dovrà pronunciarsi.
Oggi non si difendono i diritti fondamentali se non con una lotta radicale in nome dell'uguaglianza sociale. Senza di essa la deriva verso una società mostruosa diventa sempre più forte. Per questo i piccoli compromessi e il moderatismo sono lussi che la difesa per la democrazia non si può più permettere.

Giorgio Cremaschi
Liberazione
26/07/2009

Le tasse in Italia: chi le paga e quanto


Lavoratori dipendenti, imprenditori e lavoratori autonomi, pensionati.

Analisi su com’è ripartita la pressione fiscale


In genere si parla del fisco in relazione al suo peso sul Pil o sul lavoro. Conoscere in maniera chiara e immediatamente comprensibile quante tasse paga ognuna delle tre grandi categorie di contribuenti: dipendenti, imprenditori-autonomi e pensionati è impresa invece molto complessa.
Uno degli aspetti principali del patto sociale e costituzionale: l’equità fiscale, è mimetizzato. Non sfugge che questo oscuramento costituisce un problema per la qualità della democrazia.
Recentemente il Ministero del Tesoro ha pubblicato per l’anno 2006 dati più dettagliati sui redditi dichiarati e sull’Irpef pagata dai dipendenti e dai pensionati. Sottraendo questa parte di Irpef dal totale di quella pagata si possono calcolare redditi e imposte degli imprenditori e autonomi. Possiamo usare quindi quell’anno, il 2006, per cercare di capire il mistero di quanto pagano lavoratori, padroni e pensionati.

Pressione fiscale e Irpef
Primo aspetto: la pressione fiscale media in relazione al Pil.
Il Pil era 1479,981 miliardi. Le imposte ammontarono a 624 mld di cui 220 mld di indirette, 213 mld dirette, 189 mld di contributi effettivi e figurativi e 0,2 mld in conto capitale. Le imposte pesavano quindi per il 42,1 % del Pil.
Qui cominciano i problemi, perché nel Pil l’Istat calcola una quota di economia sommersa che nel 2006 stimava in 250 miliardi. Il Pil dell’economia legale, quella su cui si pagano le tasse dirette e i contributi, diventa 1230 miliardi e la pressione fiscale cresce al 50,7%. Una pressione fiscale di livello nord europeo (senza i benefici del sistema sociale svedese o danese). Nei confronti internazionali questo dato è importante perché l’Italia ha il primato del lavoro in nero e questo significa una pressione fiscale maggiore sulle persone che pagano rispetto a quella di altri Paesi.
Secondo aspetto: per calcolare quanto pagano i tre gruppi sociali presi in considerazione occorre ricordare che le imposte dirette non si pagano solo sui redditi da pensione o generati nella produzione ma sul complesso dei redditi individuali (terreni, immobili, pensioni di varia natura, interessi, lavoro dipendente o autonomo, ecc…).
I redditi generati nella produzione secondo l’Istat nel 2006, compreso sempre il nero, ammontavano a 608 miliardi di redditi da lavoro dipendente, 293 miliardi da lavoro autonomo e 102 miliardi da capitale (soprattutto dividendi e interessi). Secondo i dati desunti dalle dichiarazioni fiscali, invece, i redditi da lavoro indipendente erano solo 110 miliardi. Incrociando le valutazioni dell’Istat con le dichiarazioni emerge un “nero” del 10% nelle dichiarazioni dei dipendenti (sempre fatte dai loro datori di lavoro) e il dato che il reddito attribuito dall’Istat a piccoli padroni, quelli che occupano fino a 5 dipendenti, o autonomi era il 266% del reddito da questi effettivamente dichiarato al fisco (cioè due volte e mezzo).
Passando dai redditi primari generati dalla produzione a tutti i redditi che ogni contribuente è tenuto a dichiarare (a parte 14,2 milioni di lavoratori dipendenti e pensionati che vivono esclusivamente dei redditi da pensione e da lavoro):
– i redditi complessivi ai fini Irpef sono stati circa 741 miliardi, di questi 422 mld sono stati dichiarati dai contribuenti con un reddito prevalente da lavoro dipendente, 246 mld da quelli con reddito prevalente da pensione e 72 mld da quelli per i quali prevale una attività economica. Pensionati e lavoratori dipendenti dichiarano il 91,5% dei redditi complessivi ai fini Irpef!
-l’Irpef netta ammontava a 146 mld, comprese le addizionali comunali e regionali. I lavoratori dipendenti ne hanno pagati 88,5, i pensionati 44,5. Per differenza dal totale deduciamo che appena 13 mld sono stati pagati dagli indipendenti. Prima conclusione: l’Irpef è pagata per il 60,6% dai dipendenti, per il 30,4% dai pensionati e per il 9% da imprenditori e autonomi.

A proposito di contributi
Affrontiamo ora un altro grande capitolo: i contributi; dei quali, per inciso, ritengo sbagliata l’omologazione alle tasse, in quanto li considero una forma di ripartizione solidaristica dei redditi tra generazioni o se preferiamo la forma di risparmio più conveniente tra quelle offerte dal mercato.
Considerato che sono comunque inclusi nelle imposte, è interessante notare che (basandoci ancora sui dati Istat relativi al 2006) i contributi sociali ammontavano a 189 mld, di cui 165 mld (87,3%) versati dai lavoratori dipendenti e 23 mld (12,1%) dagli indipendenti. Gli indipendenti versano 3 punti percentuali in più rispetto all’Irpef perché ai soli fini contributivi sono definiti per decreto dei redditi annuali minimi per ogni categoria sociale e quindi è obbligatorio, ai fini del riconoscimento, un versamento minimo per ogni giornata lavorativa.
La somma del gettito di Irpef e contributi è 344 mld. I lavoratori dipendenti hanno pagato 263,5 mld (76,5%), gli indipendenti 36 mld (10,4%) e i pensionati (che ovviamente non versano contributi) hanno pagato solo l’Irpef e quindi 44,5 mld (12,9%).

Le imposte indirette, invece…
Di difficile attribuzione alle categorie sociali considerate la rispettiva quota di imposte indirette.
Quelle sui prodotti, (escludendo quindi Ici, Irap e imposta sul registro, ecc…) ammontavano sempre nell’anno preso in esame, il 2006, a circa 160 miliardi.
Per calcolare la parte attribuibile a ciascuno dei tre gruppi sociali, occorre valutare la quantità dei loro consumi effettivi sulla base dei redditi reali netti e non del solo dichiarato, meno la quota di reddito risparmiata. Qui vengono in aiuto i dati che Banca d’Italia pubblica nell’indagine sulla ricchezza delle famiglie italiane, che sono il vero attore della spesa. Possiamo stabilirne una distribuzione proporzionale al reddito percepito dalle diverse categorie sociali, anche se tutti convengono che gli autonomi hanno una maggiore capacità di risparmio (37% dei redditi secondo Banca d’Italia, contro il 20 dei pensionati e il 25 dei dipendenti) e che gli indipendenti scaricano parte dell’Iva.
Secondo questa indagine i 10,8 milioni di famiglie con a capo un lavoratore dipendente nel 2006 hanno consumato 275,7 mld, i 9,23 milioni di famiglie con a capo un pensionato o ritirato dal lavoro 179 mld e i 2,8 milioni di famiglie con a capo un imprenditore o un autonomo 86 mld. Proporzionalmente a questa suddivisione dei consumi, soprassedendo sul fatto che gli autonomi non pagano una parte dell’Iva (auto, attrezzature, ecc.), si può stimare che le imposte siano così distribuite: lavoratori dipendenti 81,6 mld, pensionati 52,8 mld, imprenditori e autonomi 25,6 miliardi.

Tirando un po’ le somme

http://files.splinder.com/4ed10e0fa0274eb1330433a01b196427.jpegA questo punto possiamo calcolare la reale pressione fiscale e contributiva sulle persone fisiche. Sul dichiarato: prelievo complessivo (Irpef, contributi e imposte indirette): lavoratori dipendenti 345 mld; pensionati 97,3; indipendenti 61,6 mld.
Eppure gli indipendenti secondo Banca d’Italia possedevano nel 2006 un reddito familiare superiore del 44% a quello dei dipendenti, un reddito individuale superiore del 48%, una ricchezza mediana superiore del 79% (quella finanziaria superiore del 200%). Il 22% degli indipendenti possiede patrimoni di oltre 500 mila euro contro il 7,4% dei dipendenti (quasi tutti dirigenti). E si potrebbe continuare.
Le restanti principali imposte sono l’Ires, l’Irap, l’Ici, le tasse sostitutive su dividendi e interessi. L’Ires insiste sulle società di capitali e non sulle persone fisiche, l’Irap origina, e corrisponde come gettito, ai contributi sanitari – principalmente dei lavoratori dipendenti e fino al 1996 valutati come prelievo sui loro redditi – trasformati con destrezza in imposta indiretta. Le imposte sostitutive sul capitale (dividendi, interessi, ecc…) sono prevalentemente tasse sui conti correnti (tassati al 27%) che posseggono l’89% delle famiglie e sugli interessi del debito pubblico che (tolto l’80% di essi in possesso di soggetti esteri e di banche) sono prevalentemente in possesso di pensionati e dipendenti. L’Ici nel 2006 era pagata anche sulla prima casa e quindi incideva su tutte le categorie sociali.

In conclusione: lavoratori e pensionati pagano circa il 90% delle tasse. Secondo l’Istat i redditi da lavoro dipendente lordi erano invece solo il 60% dei redditi primari e il margine operativo netto, cioè l’altro reddito primario da cui originano tutti i redditi da capitale (gli interessi, le rendite, i dividendi e gli utili) era il 40% dei redditi primari. Con una tassazione meramente proporzionale il gettito dovrebbe rispecchiare queste proporzioni. In osservanza del dettato Costituzionale che invece prevede la progressività, i redditi da capitale dovrebbero pagare oltre il 50% delle imposte essendo questi redditi concentrati nel 12,3% delle famiglie.
In Italia quindi lavoratori e pensionati mantegono la vita sociale e pubblica del Paese e non riescono a risparmiare e spesso si indebitano. L’altra classe sociale lucra i benefici pubblici e intanto accumula patrimoni. Patrimoni che non sono neanche tassati.
Gli operai che votano Lega perché pensano che le loro tasse vadano a Roma non si accorgono che i soldi che Roma ruba dalle loro tasche li mette in quelle di padroni e padroncini. Converrà che tornino a chiedersi chi mangia alle loro spalle (sia nato sopra o sotto il Po poco cambia).
Uscendo dalle medie che oscurano i reali rapporti di classe, la pressione fiscale sui redditi dei dipendenti, compresa la parte in nero, è del 56,7%, quella sugli imprenditori del 15,4%. Meditate, gente, meditate.

18/07/2009

Gian Paolo Patta

pubblicato su Liberazione di 18 luglio 2009

fonte:metropolis

lunedì 27 luglio 2009

Il testo "corretto" del d.lgs 81/2008 che verrà presentato al CdM il 31 luglio .


Pubblichiamo il testo del D.lgs 81 2008 in versione "corretta" che, verosimilmente, sarà sottoposto all' approvazione del Consiglio dei Ministri il giorno 31 luglio p.v. . Riteniamo che questa sia la versione autentica e definitiva , non sappiamo se il CdM introdurrà ulteriori modifiche. Rinviamo l'analisi approfondita del testo di qualche giorno al fine di realizzare una lettura puntuale e coordinata dell'articolato.






fonte:/www.diario-prevenzione.it

Cina, dopo l'omicidio del manager bloccata vendita della fabbrica


PECHINO - E' stato annullato l'acquisto dell'acciaieria cinese dove gli operai hanno ucciso il direttore, infuriati per una raffica di licenziamenti dovuti all'acquisto della fabbrica da parte di un'altra azienda del settore.

"Il governo provinciale di Jilin (la provincia dove si trova la fabbrica) ha deciso di bloccare la fusione - ha reso noto un responsabile -. La polizia ha aperto un'inchiesta sull'omicidio". L'agenzia di stampa Nuova Cina ha comunicato che l'acquisizione della fabbrica è stata annullata "per impedire alla situazione di aggravarsi".

L'episodio è avvenuto venerdì. Circa 30.000 lavoratori dell'acciaieria, che protestavano contro l'acquisizione, hanno picchiato a morte il manager e si sono scontrati con la polizia con un bilancio di un centinaio di feriti.
Secondo il Centro di informazione per i diritti umani e la democrazia di Hong Kong, la notizia che la Jianlong Steel Holding Company, una azienda di Pechino, stava rilevando la quota di maggioranza della Tonghua Iron e Steel Group, statale, ha scatenato le proteste nella provincia nordorientale di Jilin.

Chen Guojun, il direttore generale della Jianlong, è stato picchiato a morte dagli operai, infuriati dopo aver saputo che il manager lo scorso anno aveva guadagnato circa tre milioni di yuan (poco più di 300 mila euro), mentre gli operai della Tonghua che andranno a casa ne prenderanno 200 al mese. Gli operai, che hanno bloccato anche alcune strade e distrutto tre auto della polizia, non hanno lasciato passare l'ambulanza inviata per soccorrere il dirigente.

La Cina, il maggior produttore e consumatore di acciaio del mondo, sta cercando di razionalizzare il settore, ma questi progetti incontrano la forte resistenza dei lavoratori e dei governi locali, preoccupati dei contraccolpi economici in un periodo di crisi globale.

fonte :la repubblica.it

Cantiere edile e D.Lgs. 81/08: gli atti del convegno


Disponibili gli atti del convegno “La sicurezza nel cantiere edile alla luce del D.Lgs. 81/08” organizzato dall’Ispesl. Il sistema di gestione della sicurezza, il decreto correttivo, i DPI, le attrezzature, gli impianti elettrici e le attività ispettive.



Malgrado il lento miglioramento nelle condizioni di sicurezza, il comparto costruzioni rimane fra i settori a più alto indice di infortuni, per numero e gravità.
Incidenti che sono generalmente riconducibili a errori comportamentali e organizzativi e che spesso si associano alla disapplicazione delle normative vigenti in tema di salute e sicurezza sul lavoro.
Per questo motivo l’ISPESL continua a proporre azioni di sensibilizzazione e informazione sul tema della sicurezza nei cantieri temporanei e mobili per favorire l’aggiornamento degli operatori sull’evoluzione normativa e tecnologica.
Con questi obiettivi si è tenuto a Bari il 24 aprile 2009 il convegno intitolato “La sicurezza nel cantiere edile alla luce del D.Lgs. 81/08”, successivamente ad altri convegni su cantieri edili e Testo Unico svolti nei mesi scorsi, di cui sono stati pubblicati recentemente gli atti.
Il convegno, organizzato da ISPESLDipartimento Tecnologie di Sicurezza, si proponeva “di ribadire alcuni dei principali obblighi contenuti nel Testo Unico (D.Lgs. 81/08), anche alla luce dell’imminente emanazione dei decreti attuativi previsti dallo stesso, e di fare il quadro dell’attuale stato dell’arte con riferimento alla normativa tecnica in continua evoluzione”.

Gli atti relativi agli interventi del convegno:

- “La gestione della sicurezza nei cantieri temporanei e mobili alla luce del Testo Unico”, L. Tomassini - I.S.P.E.S.L./D.T.S. (formato PDF, 940 kB);

- “Il Titolo III – Uso delle attrezzature di lavoro", L. Monica - I.S.P.E.S.L./D.T.S. (formato PDF, 957 kB);

- “Il Titolo III - Impianti ed apparecchiature elettriche”, L. Di Donato - I.S.P.E.S.L./D.T.S. (formato PDF, 2.04 MB);

- “I dispositivi di protezione ed il TU”, L. Rossi - I.S.P.E.S.L./D.T.S. (formato PDF, 152 kB);

- “Attività ispettiva nell’edilizia”, F. Rana - Direttore SPESAL ASL di Bari (formato PDF, 641 kB);

- “Qualificazione delle imprese”, V. Bellomo - Presidente Sezione Edile Confindustria Bari (formato PDF, 121 kB);

- “Presentazione delle Linee Guida ANCE SGSL”, M. Tritto - ANCE (formato PDF, 278 kB);

- “Presentazione di uno studio per l’applicazione dei SGSL”, A. Pireddu - I.S.P.E.S.L./D.T.S. (formato PDF, 522 kB);

- “Art. 30: il modello di organizzazione e gestione”, L. Monica - I.S.P.E.S.L./D.T.S. (formato PDF, 521 kB).


fonte:ps

mercoledì 22 luglio 2009

Inca - CGIL il patrocinio gratuito per lavoratori e cittadini


Servizio Infortuni e Malattie Professionali

I lavoratori che hanno subito un infortunio o contratto una malattia professionale a causa del lavoro, sono assistiti e tutelati dal patronato INCA nei confronti degli Enti assicuratori (INAIL, IPSEMA, ENPAIA).Per fare questo l'INCA si avvale di una rete legale e medico-legale di qualita', del rapporto con i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) e con le Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU) nei luoghi di lavoro.

Cosa fare in caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale

Cosa deve fare il lavoratore

  • in caso di infortunio sul lavoro
    informare immediatamente il datore di lavoro

  • in caso di malattia professionale
    informare il datore di lavoro entro 15 giorni

Cosa deve fare il datore di lavoro

Appena ne ha avuto notizia, inviare all'INAIL, entro 2 giorni in caso di infortunio e 5 in caso di malattia professionale, la denuncia di infortunio o di malattia professionale, compilando gli appositi moduli forniti dall'INAIL.
Se si tratta di infortunio mortale o per il quale vi sia pericolo di morte, la denuncia deve essere fatta per telegramma entro 24 ore dall'evento.

Le prestazioni

Il datore di lavoro deve pagare

  • per intero la giornata in cui è avvenuto l'infortunio o si è manifestata la malattia professionale, se quest'ultima ha causato astensione dal lavoro

  • il 60% della retribuzione, più l'eventuale migliore trattamento previsto dal contratto di lavoro (integrazione al 100% della retribuzione giornaliera) per i successivi 3 giorni.

L'INAIL deve pagare

  • dal quarto giorno successivo a quello in cui è avvenuto l'infortunio o si è manifestata la malattia professionale fino alla guarigione clinica (senza limite di tempo)

  • fino al 90° giorno un'indennità giornaliera pari al 60% della retribuzione media giornaliera percepita negli ultimi 15 giorni precedenti l'evento

  • dal 91° giorno la stessa indennità aumentata al 75%.

Le cure sono fornite dalle strutture del Servizio Sanitario Nazionale oppure dagli ambulatori dell'INAIL ove esistenti.
Gli apparecchi protesici sono forniti dall'INAIL,gli strumenti e le attrezzature necessari all'infortunato per agevolare la sua autonomia nella vita quotidiana e di relazione (es. carrozzella ortopedica) devono essere richiesti alla Sede INAIL di appartenenza.

Se l'infortunio o la malattia professionale non sono stati denuciati subito dopo il verificarsi dell'evento, il lavoratore può ottenere comunque le prestazioni INAIL, ma deve attivarsi entro 3 anni dal giorno in cui è avvenuto l'infortunio o si è manifestata la malattia.

Se la causa dell'infortunio o della malattia è dubbia, una convenzione tra l'INAIL e l'INPS garantisce che il primo Ente che riceve il certificato medico relativo all'infortunio o alla malattia fornisca comunque le prestazioni in attesa della definizione della natura dell'evento (causa lavorativa o comune).

La rendita per inabilità permanente

Dopo la guarigione clinica, l'INAIL invita il lavoratore infortunato o affetto da malattia professionale a sottoporsi a visita medico-legale per accertare se dall'infortunio o dalla malattia sia derivata inabilità permanente ed eventualmente quantificarne il grado.

Per gli infortuni avvenuti e le malattie professionali denunciate fino al 24.7.2000.
Se il grado di inabilità accertato è compreso fra l'11% e il 100%, in favore del lavoratore viene costituita una rendita che è proporzionale al grado di inabilità e rapportata alla retribuzione percepita nell'anno precedente l'evento.
Se il grado di inabilità accertato è inferiore all'11%, il lavoratore non ha diritto alla rendita.
In caso di successivo aggravamento, però, il lavoratore può richiedere alla Sede INAIL di appartenenza la revisione del grado di inabilità.

Per gli infortuni avvenuti e le malattie professionali denunciate dopo al 24.7.2000.
L'INAIL corrisponde un Indennizzo in rendita se il grado di inabilità accertato è compreso fra il 16% ed il 100%.
La rendita è costituita da

  • una quota di indennizzo del danno biologico, calcolata sulla base della specifica tabella

  • una quota di indennizzo per le conseguenze patrimoniali della menomazione, calcolata sulla base della retribuzione e della tabella dei coefficienti.

La revisione della rendita per inabilità permanente

Per i casi precedenti il 25.7.2000
Dopo la costituzione della rendita sarà possibile verificare un'eventuale modificazione del grado di inabilità.
La visita di revisione quindi avrà come esito la conferma, l'aumento o la diminuzione della rendita.
La revisione del grado di inabilità può essere disposta dall'INAIL (revisione attiva) o richiesta dall'interessato (revisione passiva):

In caso di infortunio entro 10 anni dalla data di costituzione della rendita

In caso di malattia professionale entro 15 anni dalla data di costituzione della rendita

Per i casi dal 25.7.2000 Infortunati o tecnopatici senza postumi o con postumi inferiori al 6%

In caso di aggravamento:
entro 10 anni (se conseguente ad infortunio) dalla data dell'infortunio ,o 15 anni (se conseguente a malattia professionale) dalla data di denuncia della malattia professionale
il lavoratore ha diritto a richiedere

  • l'indennizzo in capitale per danno biologico, se la menomazione si è aggravata raggiungendo postumi di grado pari o superiori al 6% ed inferiori al 16%

  • la liquidazione della rendita per danno biologico e danno patrimoniale se la menomazione si è aggravata raggiungendo postumi di grado pari o superiori al 16%.

Se trattasi di malattie neoplastiche, di silicosi o asbestosi, o di malattie infettive e parassitarie, la domanda di aggravamento, esclusivamente ai fini della liquidazione della rendita, e quindi non ai fini dell'indennizzo in capitale, può essere presentata anche oltre i limiti temporali di cui sopra, con scadenze quinquennali dalla precedente richiesta.

In caso di Silicosi (malattia polmonare dovuta a polvere di silicio) o Asbestosi (malattia polmonare dovuta di polvere di amianto) .
Le revisioni potranno avvenire senza alcun limite di tempo.

Rendita per morte

Nel caso in cui l'infortunio o la malattia professionale causino la morte del lavoratore, i suoi familiari hanno diritto a una rendita pari al 100% della retribuzione percepita nell'anno precedente l'evento, così ripartita:

  • 50% al coniuge

  • 20% a ciascun figlio

La rendita in ogni caso non può superare complessivamente il 100% della retribuzione di riferimento

Infortunio in itinere (art.12 decreto leg.vo n.38/2000)

E' l'infortunio occorso al lavoratore durante il normale percorso

  • di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro

  • tra due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro

  • di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione del pasto in assenza di mensa aziendale.

E' coperto dalla tutela assicurativa anche l'uso del mezzo privato purchè necessitato.

Sono esclusi dalla tutela

  • le interruzioni o le deviazioni del percorso non dipendenti dal lavoro o comunque non necessitate

  • gli infortuni cagionati dall'abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall'uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni

Il danno biologico

Il danno biologico inteso come "danno alla salute" è stato introdotto nell'ambito dell'indennizzo Inail dall'art.13 del decreto legislativo n.38/2000.

Le caratteristiche proprie del danno biologico hanno comportato la ricostruzione del sistema indennitario Inail .

La nuova disciplina si applica esclusivamente agli infortuni verificatisi e alle malattie professionali denunciate dal 25 luglio 2000 in poi (data di entrata in vigore del decreto del ministero del lavoro di approvazione delle tabelle e dei relativi criteri applicativi).

Pertanto in base all'art.13 il danno permanente di origine professionale è indennizzato con una nuova prestazione economica:

Grado di menomazione

Indennizzo del danno biologico

Indennizzo delle conseguenze patrimoniali

Inferiore al 6%

Nessun indennizzo

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Tra il 6% ed il 15%

Indennizzo in capitale

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Occupazione


Cnel: allarme lavoro, mezzo milione a rischio



La disoccupazione si avvicina al 9%, 500.000 posti di lavoro sono a rischio e, per la prima volta nella storia italiana, il monte salari è in calo. D’altro canto, però, la crisi mostra i primi segni di attenuazione, anche perché gli ammortizzatori sociali hanno retto bene. E’ la fotografia di un mercato del lavoro gravemente ferito ma ancora in grado di risollevarsi dalle macerie della recessione quella scattata dal Cnel nel Rapporto sul mercato del lavoro presentato oggi (22 luglio).

Secondo quanto riportato nel rapporto del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, infatti, siamo ancora “in una fase di forte difficoltà e di grande incertezza”, tuttavia, “la crisi internazionale sembra mostrare alcuni segnali di attenuazione”. “A livello mondiale – si legge –vi sono indicatori che appaiono rivelare una ripresa, sia pure lieve, dell'attività economica”. dunque probabile che “il punto più basso della recessione sia stato superato”.

La crisi, però, ha già lasciato segni profondi. Nel 2009 sono ancora a rischio fino a mezzo milione di posti di lavoro. Entro la fine del 2009, si legge nel rapporto, “la disoccupazione continuerà ad aumentare e il ricorso agli ammortizzatori sociali sarà ancora significativo”. Più nel dettaglio, il Cnel stima nell'anno una perdita di posti di lavoro tra le 350mila e le 540mila unità se misurati in forze di lavoro e tra le 620mila e le 820mila in termini di Ula (Unità lavorative annue), mentre i disoccupati potrebbero aumentare in una forchetta che oscilla tra le 270mila e 460mila unità.

Il tasso di disoccupazione, dunque, potrebbe collocarsi nella peggiore delle ipotesi poco al di sotto del 9%. Nello specifico, le tabelle indicano una forbice tra il 7,9% e l'8,6%. Va peggio per le donne: per loro il tasso di disoccupazione è atteso al 10% nel dato medio annuo, nello scenario base, rispetto all'8,5% del 2008, mentre per gli uomini passerebbe dal 5,5 al 7,1%.

Gli ultimi mesi di quest’anno e i primi del prossimo, viene inoltre sottolineato, saranno “cruciali nel determinare caratteristiche e intensità della ripresa”. Per questo, prosegue il Cnel, “è importante che vi sia piena consapevolezza del fatto che nei prossimi mesi potrebbero rendersi necessari ulteriori interventi per estendere e rendere ancora più flessibili i sostegni al reddito, così come diventa determinante anche l'impulso che le stesse parti sociali e le autorità regionali potranno dare agli strumenti in loro possesso (enti bilaterali, fondi interprofessionali, risorse regionali e soprattutto comunitarie)”.

Nel 2009, poi, il monte retributivo dei dipendenti potrebbe registrare una contrazione di circa l'1%. Sarebbe la prima volta nella storia d'Italia, secondo i ricercatori, che il monte salari complessivo registra una riduzione a prezzi correnti. Negli anni più recenti, infatti, questa variabile aveva registrato oscillazioni intorno a un tasso di crescita mediamente vicino al 4%. “La contrazione che dovremmo registrare quest'anno rappresenta quindi un cambiamento di regime sostanziale” affermano.

La conseguenza è che nel 2009 il Pil italiano potrà segnare un crollo fino al -5,7%. La soluzione più favorevole a partire dalle tendenze in corso invece è quello di una caduta del 4,7%. I consumi nazionale a prezzi costanti potrebbero invece segnare un calo del 2,3%. Per superare con i minori danni possibili i prossimi mesi, dunque, il Cnel afferma che “promuoverà tutte le azioni necessarie nelle sue competenze per assicurare al paese una strategia di uscita dalla crisi che sia virtuosa, efficace e che faccia riprendere una crescita basata sulla produttività, l'occupazione e la dinamica salariale”.

Le proposte del Cnel riguardano soprattutto le misure di sostegno al reddito. Sebbene gli ammortizzatori sociali si stiano “dimostrando più efficaci del previsto nel fronteggiare la caduta dell'occupazione” e le risorse stanziate dal governo coprano “la maggior parte dei lavoratori”, infatti, c’è comunque bisogno di una riforma dell’intero sistema. Il Cnel “porrà questo argomento al centro della riflessione dei prossimi mesi, unitamente a quella più complessiva sul futuro del sistema di welfare in Italia”.

La platea dei beneficiari non potrà comunque essere universale, secondo l'organo di consulenza per le Camere e per il governo, ma “una riforma degli ammortizzatori deve tenere conto di alcuni elementi determinanti”. A partire dalle “condizioni di accesso ai sostegni al reddito e le compatibilità di un livello di carattere universale con i costi in termini di sostenibilità finanziaria”, ma anche dal “rafforzamento delle azioni di formazione e di orientamento, ancora oggi troppo slegate dai bisogni reali del mercato del lavoro". E' questa la via indicata dal Cnel se si vuole "riorientare il sentiero di sviluppo dell'economia italiana sui cosiddetti green jobs o i white jobs", lavori legati ai servizi socio-sanitario-assistenziali alla persona o alle famiglie”.

22/07/2009 11:56

fonte:rassegna.it