giovedì 29 aprile 2010

mercoledì 28 aprile 2010

CCNL gomma-plastica a rischio?


Federazione Gomma Plastica congela l'accordo, ma riconosce gli aumenti in aprile

L'ipotesi di accordo per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro sottoscritta il 18 marzo scorso da Federazione Gomma Plastica e sindacati rischia di saltare a causa di un comunicato congiunto che le organizzazioni dei lavoratori hanno diffuso il 1 aprile scorso, in cui si mette in discussione il metodo di definizione del calendario annuo di lavoro nelle attività organizzate da 17 a 21 turni settimanali. In particolare, rileva FGP: "si dà indicazione sulla opportunità di escludere le giornate di ROL nella definizione dei futuri calendari”.

La questione, all'apparenza molto tecnica, potrebbe avere riflessi economici e organizzativi negativi per le imprese, vanificando in parte i benefici ottenuti in cambio degli aumenti salariali, in termini di regolamentazione delle assenze di lavoro. Oltre tutto, affermano in Federazione, l’istituto del calendario annuo di lavoro non è stato oggetto di trattativa ed è già compiutamente regolamentato dal CCNL. Senza contare l'opportunità di mettere sul piatto nuove rivendicazione a trattativa ormai conclusa.

Secondo l'Associazione dei trasformatori, le organizzazioni sindacali non hanno fornito le precisazioni richieste sulla reale portata del comunicato, né si sono rese disponibili a un incontro di chiarimento. Per questa ragione, Federazione Gomma Plastica ha invitato le aziende a corrispondere con riserva il solo trattamento economico previsto per il mese di aprile - compreso l'aumento del minimo contrattuale di 32 euro medi lordi e l’una tantum di 100 euro - ritenendo invece sospese tutte le restanti parti dell’Ipotesi di accordo.

Federazione Gomma Plastica ha invitato nuovamente i sindacati ad un incontro per chiarire le posizioni, da tenersi entro la prima settimana di maggio.

giovedì 22 aprile 2010

PRESIDIO 26 APRILE 2010 CONTRO DISEGNO DI LEGGE SUL LAVORO


APPELLO PER LA PARTECIPAZIONE AL PRESIDIO
LUNEDI 26 APRILE 2010
ORE 17:00 P.ZZA CASTELLO (davanti alla Prefettura)


Il 26 aprile ritornerà in aula alla Camera il testo del disegno di legge sul lavoro (processo del lavoro arbitrato, certificazione, permessi per disabili, sugli ammortizzatori sociali, ecc…).

Infatti, il Presidente della Repubblica non ha firmato la legge (vedi in allegato i motivi) e, rinviandola alla Camera, ha chiesto modifiche su parti importanti del provvedimento.

La CGIL ha considerato da subito il testo anticostituzionale e lesivo del diritto del lavoro e della libertà delle lavoratrici e dei lavoratori.

Una legge sbagliata che implementa e sostanzia la precarietà, che equipara il diritto del lavoro a quello commerciale e rende derogabili le leggi e la contrattazione.

Per questi motivi abbiamo chiesto cambiamenti su tutto il disegno di legge (vedi allegato audizione) e sosteniamo con l’informazione e la mobilitazione le ragioni delle lavoratrici e dei lavoratori.

Il presidio del 26 aprile è un primo importante appuntamento (si terrà davanti a Montecitorio e a tutte le Prefetture d’Italia) per questo invitiamo a partecipare tutti coloro che pensano che i diritti e le libertà delle lavoratrici e dei lavoratori non possano, ancora una volta, essere messi in discussione.

Volantino

Testo integrale del messaggio del Presidente Napolitano alle Camere

Memoria per Commissione Lavoro della Camera dei Deputati

fonte :cgil Torino

Ddl Lavoro: CGIL, le modifiche non bastano per cambiare il senso di una legge sbagliata

La mobilitazione prosegue e si rafforza, 26 aprile presidi sotto prefetture, 28 manifestazione davanti alla Camera 21/04/2010

“Governo e maggioranza sono costretti ad apportare qualche modifica alla controriforma del processo del lavoro, ma ciò non basta per cambiare il senso di una legge sbagliata che continua a mantenere punti evidenti di incostituzionalità”. Così Fulvio Fammoni, Segretario Confederale della CGIL, commenta gli emendamenti presentati dal relatore, dalla maggioranza e dal governo, in Commissione Lavoro della Camera, al ddl lavoro. “Prendiamo atto - afferma il dirigente sindacale - di questi primi cambiamenti che riteniamo anche frutto della nostra coerente iniziativa, ma la mobilitazione per cambiare una legge sbagliata prosegue e si rafforza”.

Tra i cambiamenti previsti dagli emendamenti, Fammoni sottolinea che: “la clausola compromissoria non può essere stipulata per nessuna materia all’atto dell’assunzione e non solo per le controversie relative al licenziamento come previsto nella dichiarazione comune separata; Il licenziamento non può essere orale ma solamente in forma scritta; il lodo arbitrale non è più definitivo, ma può essere impugnato, anche se resta la pesante spada di Damocle di una possibile dichiarazione preventiva di accettazione di qualsiasi decisione arbitrale”.

Permangono per Fammoni misure ‘molto gravi’ come: “la certificazione in deroga ai contratti collettivi nazionali di lavoro e i vincoli al ruolo del giudice del lavoro; il ricatto sui precari per la clausola compromissoria che non è certo attenuato da un rinvio di 30 giorni; nessuna schermatura sostanziale alla derogabilità di leggi e contratti, possibile con l’arbitrato di equità che resta preventivo al manifestarsi della controversia; è confermata la previsione di un decreto ministeriale anche se fintamente attenuata; non è previsto niente sui termini dell’impugnazione e dell’articolo 50”. Pertanto, aggiunge Fammoni, “in relazione al messaggio del Presidente della Repubblica paiono evidenti le non risposte sull’insieme dei 5 articoli di legge”.

Tuttavia, conclude, “questo sommario esame delle proposte del centro destra dimostra la pervicacia con cui si vuole portare avanti la controriforma del diritto del lavoro, ma anche che una coerente iniziativa di mobilitazione produce prime crepe nel meccanismo. Per questo la mobilitazione proseguirà con rinnovato vigore a partire dal coinvolgimento e dall’informazione dei lavoratori, dall’evidenziazione dei punti di incostituzionalità e dalle iniziative di mobilitazione già in programma in tutta Italia. A partire dai presidi sotto le prefetture di tutte le città di Italia il 26 aprile e dal presidio nazionale nel giorno dell’avvio del dibattito in aula il 28 aprile”.

fonte:CGIL.it

mercoledì 14 aprile 2010

La prima condanna di una società per violazione delle norme anti- infortuni


Giovanni Negri
MILANO

Modelli su misura per la sicurezza lavoro. Con un'attenzione particolare per i casi di subappalto o, comunque, di collaborazione. E poi di interesse della società evidente, quanto a risparmi di spesa, nell'aggirare le norme a presidio dei lavoratori. Per la prima volta un tribunale ha condannato alcune società per violazione del Testo unico in materia di protezione del lavoro e ha fornito una serie di importanti indicazioni sull'applicazione del decreto 231/01 a questa materia.



Il giudice unico di Trani ha depositato l'11 gennaio 2010 le motivazioni della sentenza con la quale, oltre a tre persone fisichem sono state anche pesantemente sanzionate tre societàper la sciagura del 3 marzo 2008 nella quale, alla Truck Center di Molfetta, persero la vita 5 persone durante la pulizia di una cisterna.
E' recente, tre il 2007 e il 2008, l'inserimento dell'omicidio colposo e delle lesioni gravi e gravissime, verificatisi sui luoghi di lavoro, tra i reati presupposto, quelli commessi da dipendenti o vertici di una società, nei quali la società stessa ha tratto un vantaggio o avuto un interesse. Proprio su quest'ultimo aspetto si erano concentrate molte perplessità. Il decreto 231 aveva infatti sino a quel momento (era il 2007 con la revisione di tutta la normativa a protezione del lavoro) compreso solo delitti dolosi, rendendo naturale il dubbio sul fatto che se un soggetto agisce colposamente, come nel caso degli illeciti in materia di sicurezza, non lo fa per un fine criminale.
Un'incertezza cui la sentenza risponde in materia abbastanza tranciante, mettendo in luce come la condotta alla base dell'omicidio colposo e delle lesioni gravi e gravissime sia caratterizzata da negligenza, imprudenza, imperizia, oppure nell'aggiramento di leggi o regolamenti. Se la morte o le lesioni costituiscono l'evento, proprio la condotta rappresenta il fatto colposo che è alla base dell'evento stesso. Per la sentenza <>. All'autorità giudiziaria spetterà il cimpito di accertare solo se la condotta che ha determinato l'evento (more o lesioni) sia stata provocata da scelte che rientrano oggettivamente nella sfera di interesse dell'ente oppure se la condotta gli ha provocato almeno un beneficio, senza interessi esclusivi di altri.

continua su fonte: http://www.consorzioinfotel.it/portaleconsulenti/news.php?extend.540.2

Ddl lavoro, la spaccatura non rientra


di red

È ripartito in commissione Lavoro alla Camera l’iter del disegno di legge sul lavoro, rinviato alle Camere dal capo dello Stato Giorgio Napolitano per i rischi di aggiramento dell’articolo 18. Il ciclo delle audizioni è iniziato oggi (13 aprile) con le parti sociali e proseguirà per tutta la settimana, ma si scopre subito che sindacati e imprese non cambiano le proprie posizioni: da una parte c’è la Cgil, che insiste sulla necessità di rivedere completamente il testo negli articoli segnalati dal Colle e annuncia una forte mobilitazione; dall’altra ci sono Cisl e Uil che, insieme alla Confindustria, difendono l’avviso comune siglato lo scorso 11 marzo, anche se gli stessi industriali ammettono che c’è qualcosa da rivedere nel testo. In attesa di capire cosa farà il governo, l’ennesimo ritorno in aula a Montecitorio è in calendario per il prossimo 26 aprile: sarà il quarto giro per i deputati (poi sarà la volta del Senato) per una legge dal percorso travagliato che ha impiegato oltre un anno e mezzo ad arrivare sulla scrivania del Quirinale senza poi essere firmata perché controversa soprattutto nella parte in cui introduce l’arbitro privato al posto del giudice nei processi del lavoro.

“È necessario un intervento complessivo di riesame del testo”, per “una nuova deliberazione, oltre agli articoli 20, 30, 31, 32 e 50 menzionati dal capo dello Stato, su cui la maggioranza intende limitare la discussione”. Così il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni. Affrontando i nodi sul tappeto, il dirigente di Corso Italia è tornato sull’arbitrato: “Non siamo contrari allo strumento in sé - ha detto - ma all’arbitrato di equità”. Fammoni ha posto l’accento anche su altre norme contenute nel provvedimento, come quella che abbasserebbe l’età dell’obbligo scolastico introducendo l’apprendistato a 15 anni, “norma sbagliata e viziata di incostituzionalità”. Ad ogni modo, se non ci saranno i cambiamenti richiesti la Cgil continuerà la propria iniziativa “anche con la mobilitazione e l’appello della Consulta, e quando la legge andrà in aula (il 26 aprile, ndr) faremo un presidio di fronte al Parlamento”.

“L’arbitrato è utile se è libero, per questo è giusto prevedere che non sia inserito nella clausola compromissoria al momento dell’assunzione ma quando il rapporto è già consolidato”, ha detto il segretario confederale della Cisl, Giorgio Santini. Il sindacato di via Po propone che la scelta della via extragiudiziale avvenga finito il periodo di prova. Altre tre le modifiche auspicate: recepire l’avviso comune che esclude i licenziamenti dalla materia dell’arbitrato, definire le commissioni di certificazione che validano le clausole compromissorie e certificano i contratti individuali come ‘organi terzi’ per cui “bene le università, le direzioni provinciali del lavoro, ma no i consulenti del lavoro che rappresentano i datori di lavoro”. Terzo: limitare i confini dell’arbitrato “secondo equità”, conclude Santini, quindi si potrebbero “escludere i diritti indisponibili, quelli sanciti dalla Costituzione”, ovvero la salute e la sicurezza, le ferie, l’orario di lavoro.

Dovrà rimanere “esplicitamente acclarato che l’arbitrato non ha nulla a che vedere con i licenziamenti e che esso non può essere imposto al momento dell’assunzione”, ha sottolineato per la Uil il segretario confederale, Paolo Pirani, secondo cui “a maggior garanzia si potrebbe decidere che l’eventuale clausola compromissoria si applichi solo ai rapporti di lavoro subordinato, ed esclusivamente al termine del periodo di prova, nel quale evidente la particolare debolezza del lavoratore”.

Con l’avviso comune separato, siglato l’11 marzo sull’arbitrato, “si è esclusa ogni ipotesi anche indiretta di voler far ricorso all’arbitrato per eludere garanzie poste a tutela dei lavoratori in caso di licenziamento illegittimo”. Così il direttore delle relazioni industriali di Confindustria, Giorgio Usai, sottolineando che l’intesa “delinea la strada da percorrere per cercare soluzioni condivise alle questioni sollevate nel messaggio alle Camere”. Gli industriali condividono “pienamente il richiamo del presidente della Repubblica in ordine alla necessità del rispetto del principio della volontarietà dell’arbitrato”. La legge presenta infatti “alcune criticità sul piano tecnico”, per esempio bisogna rivedere la possibilità di appello sulle controversie arbitrali demandando al solo Tribunale la competenza dei ricorsi in unico grado.

STOP ALL’ALLUNGAMENTO DELLA CIG. Sempre in tema di lavoro, sembra ormai certo il no del governo ad allungare la cassa integrazione ordinaria da un anno a un anno e mezzo. Il Tesoro ha infatti consegnato in commissione Bilancio della Camera la relazione tecnica sul disegno di legge unificato sul lavoro che contiene, appunto, il prolungamento di sei mesi della cassa ordinaria, confermando il giudizio già espresso in precedenza dal governo. Arrivata la relazione del Tesoro, domani la commissione Bilancio dovrebbe esprimere il proprio parere sul provvedimento e la commissione Lavoro dovrebbe votare il mandato al relatore.

TAGS articolo 18 arbitrato ddl lavoro

fonte:http://www.rassegna.it/articoli/2010/04/13/61050/ddl-lavoro-la-spaccatura-non-rientra

sabato 3 aprile 2010

ddl lavoro: l’arbitro non può espellere il giudice


di Umberto Romagnoli


La disposizione più corposa della sgangherata legge-omnibus rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica è quella che concerne la soluzione stragiudiziale delle controversie individuali di lavoro. Candida come una colomba, la norma è astuta come un serpente, ma non può nascondere tutta la sua insidiosità. In larga misura, infatti, è stata smascherata dalla motivazione dell’autorevole richiesta di riesame parlamentare.

Dal documento risulta che si vorrebbe ottenere il contenimento della litigiosità giudiziaria in materia di lavoro mediante il rilancio dell’istituto dell’arbitrato basato sulla rinuncia preferibilmente preventiva alla via giurisdizionale accompagnata, magari, dall’autorizzazione a decidere secondo equità, ossia con licenza di derogare a tassative norme legali. Una rinuncia che di preferenza viene effettuata in una con la stipulazione del contratto di lavoro, ossia al momento dell’assunzione che in genere coincide col momento di massima debolezza contrattuale del lavoratore. Né la situazione cambierebbe se la contrattazione collettiva mettesse a disposizione dei singoli, come già succede nel pubblico impiego, la possibilità di devolvere ad arbitri la controversia prevedendo le modalità procedurali per attivare il meccanismo decisionale alternativo; e ciò perché la rinuncia ad avvalersi dell’autorità giudiziaria ordinaria resterebbe pur sempre una scelta individuale.

Le perplessità manifestate dal Presidente Giorgio Napolitano sono totalmente condivise da chi scrive. Anche perché non c’è dubbio alcuno che la vittima sacrificale più illustre di un’opzione legislativa favorevole al primato della giustizia privata in materia di lavoro non può non essere la norma-simbolo dello statuto dei lavoratori quale è l’art. 18 che conserva il pathos sufficiente per riempire piazze e prime pagine dei giornali ogniqualvolta sia oggetto di aggressione diretta o, come oggi, indiretta. Mai infatti un collegio arbitrale potrebbe disporre del potere coercitivo necessario per emanare un ordine di reintegrazione del lavoratore ingiustamente licenziato.

Tuttavia, il disegno del legislatore d’inizio primavera 2010 è più ampio e più micidiale di quanto non si sia finora messo in luce. Ciò che si prefigura è l’amministrativizzazione della giurisdizione. Mi scuso per l’orrenda e quasi impronunciabile terminologia, ma di questo si tratta. Si tratta non solo di ridurre il contenzioso giudiziario in materia di lavoro, privilegiando lo strumento dell’arbitrato, ma di ridurre il contenzioso tout court in base ad una concezione della giurisdizione che finisce per assimilarla a procedimenti di natura amministrativa. Come è possibile? E’ semplice: rinvigorendo gli organi della certificazione dei contratti di lavoro previsti dalla cosiddetta “legge Biagi”; spostandoli dalla periferia in cui sono tuttora emarginati per collocarli nel cuore del corpus normativo che noi chiamiamo diritto del lavoro e farne lo snodo centrale della sua applicazione senza arretrare di fronte alla prospettiva di sfrattarne il giudice ordinario. Infatti, le valutazioni espresse dai certificatori del contratto di lavoro vincolano anche il giudice cui si vorrebbe vietare esplicitamente di discostarsene.

Il tempo trascorso ha dimostrato che la volontarietà dell’avvio della certificazione ne ha favorito la pratica ininfluenza. Bisognava perciò cercare l’incentivo adeguato a generalizzarla e si è creduto di trovarlo nell’uso su vasta scala delle clausole compromissorie nei contratti di lavoro, rimettendo ai certificatori il compito di autenticare la concorde volontà delle parti.

Come dire che la grande, e anzi la tre volte grande, riforma della giustizia desiderata dal premier trova qui una prova tecnica di settore che ne anticipa il significato complessivo: come i PM, anche i giudici del lavoro rappresentano una patologia ed è pertanto ragionevole diffidarne, come del resto ne diffidava apertamente il Libro bianco del 2001. Il che però apre un problema di costituzionalità, perché non si può ammettere che sia di fatto sottratta alla cognizione del giudice togato la dinamica di un’intera esperienza come quella legata ai conflitti di lavoro.

TAGS arbitrato ddl lavoro


02/04/2010 12:03

fonte;rassegna.it