Il 9 novembre 2010 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale la legge 183/2010 (il cosiddetto “Collegato lavoro”) che contiene, tra le altre, nuove disposizioni sui permessi lavorativi a favore dei dipendenti che assistono familiari con handicap grave. L’articolo 24 modifica la legge 104/1992. L’INPS ha diramato le proprie disposizioni con una la circolare n. 155 del 3 dicembre 2010. Nello specifico, possiamo notare alcune novità rilevanti. La Circolare ricorda che ora hanno diritto ai permessi lavorativi i parenti e gli affini entro il secondo grado (figli, nonni, suoceri, cognati ecc.) oltre al coniuge.
Solo in particolari condizioni le agevolazioni possono essere estese ai parenti e affini di terzo grado delle persone con disabilità da assistere. Queste “eccezioni” sono fissate dall’articolo 24 della citata legge 183: i genitori o il coniuge della persona in situazione di disabilità grave che abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure che siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti. L’espressione “mancanti” deve essere intesa “non solo come situazione di assenza naturale e giuridica (celibato o stato di figlio naturale non riconosciuto), ma deve ricomprendere anche ogni altra condizione ad essa giuridicamente assimilabile, continuativa e debitamente certificata dall’autorità giudiziaria o da altra pubblica autorità, quale: divorzio, separazione legale o abbandono, risultanti da documentazione dell’autorità giudiziaria o di altra pubblica autorità”.
A parere dell’INPS, la possibilità di estendere dal secondo al terzo grado di parentela/affinità la concessione dei permessi si verifica anche nel caso in cui anche uno solo dei soggetti menzionati (coniuge, genitore) si trovi nelle situazioni di assenza, decesso, patologie invalidanti. Motiva tale interpretazione con l’analisi letterale della norma laddove viene utilizzata la congiunzione disgiuntiva (“qualora i genitori o il coniuge”). Quindi, ad esempio, se in una famiglia uno solo dei due genitori affetto da una patologia invalidante, mentre l’altro non lo è e non ha più di 65 anni, un parente o un affine di terzo grado può comunque godere dei permessi.
L’INPS entra anche nel merito della definizione di “patologie invalidanti”. A tal proposito, il Legislatore è stato molto generico e quindi INPS si è rivolto al Ministero della salute il cui parere è stato che le patologie da prendere a riferimento sono quelle indicate dall’articolo 2, comma 1, lettera d), numeri 1, 2 e 3 del Decreto Interministeriale n. 278 del 21 luglio 2000. L’INPS rammenta che la Legge 183/2010 ha eliminato all’articolo 33, comma 3, della Legge 104/92 le parole “successivamente al compimento del terzo anno di età del disabile”. Conseguentemente è stata introdotta anche per i parenti e gli affini del minore di tre anni in situazione di disabilità grave la possibilità di godere dei tre giorni di permesso mensili.
La Legge 183/2010 ha sottolineato come non possano essere concessi i permessi mensili (Legge 104/1992), a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con disabilità grave. L’INPS ha interpretato tale indicazione come un divieto all’alternatività fra più beneficiari, a meno che essi non siano i genitori di figli con grave disabilità. Inoltre, genitori di minori di tre anni di fruire anche i tre giorni di permesso, in alternativa alle altre due forme di agevolazione già previste e cioè il prolungamento del congedo parentale (legge 8 marzo 2000, n. 53) e le due ore di permesso giornaliero, specificando che: “la fruizione dei benefici dei tre giorni di permesso mensili, del prolungamento del congedo parentale e delle ore di riposo deve intendersi alternativa e non cumulativa nell’arco del mese”.
Successivamente l’INPS sottolinea che uno dei requisiti essenziali per la concessione dei permessi lavorativi è l’assenza di ricovero a tempo pieno della persona con grave disabilità. Secondo INPS per ricovero a tempo pieno si intende quello, per le intere ventiquattro ore, presso “strutture ospedaliere o simili, pubbliche o private, che assicurano assistenza sanitaria continuativa”. L’INPS però ribadisce tre eccezioni. I permessi, anche in caso di ricovero, possono essere concessi in tre casi:
La normativa concernente l’ulteriore beneficio relativo all’avvicinamento alla sede di servizio (comma 5 dell’art. 33 della legge 104/92) è stata altresì novellata. Con la modifica è stato previsto che il lavoratore ha diritto a scegliere ove possibile la sede di lavoro più vicina non più al domicilio del lavoratore che presta assistenza, ma al domicilio della persona da assistere.
Infine, Il nuovo comma 7-bis dell’articolo 33, legge 104/92, prevede espressamente la decadenza, per il lavoratore, dal diritto a beneficiare dei tre giorni di permesso, “qualora il datore di lavoro o l'INPS accerti l'insussistenza o il venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei medesimi diritti”, quindi, l’INPS provvederà alla verifica a campione delle situazioni dichiarate dai lavoratori richiedenti i permessi.
Per quanto riguarda i dipendenti della Pubblica amministrazione, il Ministero competente ha emanato una propria circolare, la n° 13/2010, che, seguendo quella dell’INPS, riprende le modifiche della legge 183/2010.
Solo in particolari condizioni le agevolazioni possono essere estese ai parenti e affini di terzo grado delle persone con disabilità da assistere. Queste “eccezioni” sono fissate dall’articolo 24 della citata legge 183: i genitori o il coniuge della persona in situazione di disabilità grave che abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure che siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti. L’espressione “mancanti” deve essere intesa “non solo come situazione di assenza naturale e giuridica (celibato o stato di figlio naturale non riconosciuto), ma deve ricomprendere anche ogni altra condizione ad essa giuridicamente assimilabile, continuativa e debitamente certificata dall’autorità giudiziaria o da altra pubblica autorità, quale: divorzio, separazione legale o abbandono, risultanti da documentazione dell’autorità giudiziaria o di altra pubblica autorità”.
A parere dell’INPS, la possibilità di estendere dal secondo al terzo grado di parentela/affinità la concessione dei permessi si verifica anche nel caso in cui anche uno solo dei soggetti menzionati (coniuge, genitore) si trovi nelle situazioni di assenza, decesso, patologie invalidanti. Motiva tale interpretazione con l’analisi letterale della norma laddove viene utilizzata la congiunzione disgiuntiva (“qualora i genitori o il coniuge”). Quindi, ad esempio, se in una famiglia uno solo dei due genitori affetto da una patologia invalidante, mentre l’altro non lo è e non ha più di 65 anni, un parente o un affine di terzo grado può comunque godere dei permessi.
L’INPS entra anche nel merito della definizione di “patologie invalidanti”. A tal proposito, il Legislatore è stato molto generico e quindi INPS si è rivolto al Ministero della salute il cui parere è stato che le patologie da prendere a riferimento sono quelle indicate dall’articolo 2, comma 1, lettera d), numeri 1, 2 e 3 del Decreto Interministeriale n. 278 del 21 luglio 2000. L’INPS rammenta che la Legge 183/2010 ha eliminato all’articolo 33, comma 3, della Legge 104/92 le parole “successivamente al compimento del terzo anno di età del disabile”. Conseguentemente è stata introdotta anche per i parenti e gli affini del minore di tre anni in situazione di disabilità grave la possibilità di godere dei tre giorni di permesso mensili.
La Legge 183/2010 ha sottolineato come non possano essere concessi i permessi mensili (Legge 104/1992), a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con disabilità grave. L’INPS ha interpretato tale indicazione come un divieto all’alternatività fra più beneficiari, a meno che essi non siano i genitori di figli con grave disabilità. Inoltre, genitori di minori di tre anni di fruire anche i tre giorni di permesso, in alternativa alle altre due forme di agevolazione già previste e cioè il prolungamento del congedo parentale (legge 8 marzo 2000, n. 53) e le due ore di permesso giornaliero, specificando che: “la fruizione dei benefici dei tre giorni di permesso mensili, del prolungamento del congedo parentale e delle ore di riposo deve intendersi alternativa e non cumulativa nell’arco del mese”.
Successivamente l’INPS sottolinea che uno dei requisiti essenziali per la concessione dei permessi lavorativi è l’assenza di ricovero a tempo pieno della persona con grave disabilità. Secondo INPS per ricovero a tempo pieno si intende quello, per le intere ventiquattro ore, presso “strutture ospedaliere o simili, pubbliche o private, che assicurano assistenza sanitaria continuativa”. L’INPS però ribadisce tre eccezioni. I permessi, anche in caso di ricovero, possono essere concessi in tre casi:
- interruzione del ricovero a tempo pieno per necessità del disabile in situazione di gravità di recarsi al di fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite e terapie appositamente certificate;
- ricovero a tempo pieno di un disabile in situazione di gravità in stato vegetativo persistente e/o con prognosi infausta a breve termine;
- ricovero a tempo pieno di un minore con disabilità in situazione di gravità per il quale risulti documentato dai sanitari della struttura ospedaliera il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un familiare, ipotesi già prevista per i bambini fino a tre anni di età (circolare n. 90 del 23 maggio 2007, p. 7).
La normativa concernente l’ulteriore beneficio relativo all’avvicinamento alla sede di servizio (comma 5 dell’art. 33 della legge 104/92) è stata altresì novellata. Con la modifica è stato previsto che il lavoratore ha diritto a scegliere ove possibile la sede di lavoro più vicina non più al domicilio del lavoratore che presta assistenza, ma al domicilio della persona da assistere.
Infine, Il nuovo comma 7-bis dell’articolo 33, legge 104/92, prevede espressamente la decadenza, per il lavoratore, dal diritto a beneficiare dei tre giorni di permesso, “qualora il datore di lavoro o l'INPS accerti l'insussistenza o il venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei medesimi diritti”, quindi, l’INPS provvederà alla verifica a campione delle situazioni dichiarate dai lavoratori richiedenti i permessi.
Per quanto riguarda i dipendenti della Pubblica amministrazione, il Ministero competente ha emanato una propria circolare, la n° 13/2010, che, seguendo quella dell’INPS, riprende le modifiche della legge 183/2010.
fonte: http://www.cgil.it/dettagliodocumento.aspx?ID=15255