domenica 23 agosto 2009

Infortuni sul lavoro, tutto quello che i dati dell’Inail non dicono


Secondo la Cgil il Rapporto elaborato dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli incidenti professionali non tiene conto di importanti fattori. Non calcola la crisi economica, il lavoro nero e il precariato.


«L'enfasi che l’Inail ha attribuito alla diminuzione del tasso di infortuni sul lavoro andrebbe attenuata». Non ha dubbi Sebastiano Calleri della Nidil-Cgil. L’anno 2008 si è chiuso con 874.940 infortuni sul lavoro e 1.120 casi mortali. È la prima volta dal 1951, anno a partire dal quale si dispone di statistiche attendibili e strutturate, che l’Italia registra un numero di morti inferiore a 1.200 casi l’anno.

E l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro non ha tardato a definirlo un «incoraggiante record storico». Non è dello stesso avviso però la Cgil, secondo cui la rilevazione l’Inail non terrebbe conto di alcuni importanti fattori. «La riduzione generale del tasso di incidenti - spiega Calleri - va correlata alla diminuzione delle ore lavorate a causa della crisi, una variabile che nel rapporto Inail non viene calcolata».

Con il Pil a -5 per cento e la produzione industriale a -20, una riduzione del 7 per cento dei morti sul lavoro non è certo un risultato di cui andare fieri. Ma non è tutto, a placare gli entusiasmi sarebbero anche le mancate denunce di infortunio. «Molte volte - continua Calleri - gli operai vengono spinti dai datori di lavoro a denunciare gli infortuni sul lavoro come domestici o a non denunciarli affatto».

A pagarne gli effetti più negativi sarebbe la parte più debole del sistema: precari e migranti, un segmento che, nella macchina produttiva del Paese, gioca un ruolo da leone. A un attenta lettura del Rapporto, c’è anche un altro dato che non torna. Secondo l’Inail è nel ramo industriale e in quello dei servizi che avviene il 90,3 per cento degli incidenti, un settore in cui la presenza straniera ha un peso di rilievo, eppure sono solo 179 i casi di infortunio che hanno riguardato gli immigrati. «Un’interpretazione attenta - dice Calleri - deve farsi carico di alcune questioni ormai evidenti».

Le conclusioni dell’Inail non convincono neanche riguardo ai lavoratori interinali, impiegati per la maggioranza in settori ad alto rischio. «Sarebbero quelli - sottolinea la Cgil - che a rigor di logica dovrebbero avere il più alto tasso di infortuni sul lavoro». Una tesi però che non trova conferma nel bilancio dell’Inail, e la spiegazione è semplice secondo Calleri: «Il rischio di perdere il posto induce precari e clandestini a non denunciare l’infortunio sul lavoro».

Anche riguardo al fenomeno delle malattie professionali, in aumento di ben 11 punti rispetto all’anno precedente, c’è divergenza di pareri. L’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro è ottimista al riguardo. «L’incremento delle denunce arrivate all’Inail è forse dovuto - si legge in una nota che accompagna il Rapporto - all’emersione del fenomeno e alla maggiore sensibilità, piuttosto che a un peggioramento delle condizioni di salubrità negli ambienti di lavoro».

La pensa diversamente la Cgil: secondo il sindacato in Italia non si è ancora diffusa una cultura al riguardo. Non ci sarebbe, infatti, l’attitudine a riconoscere le malattie professionali come tali. L’organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) riporta che in Europa, per ogni morto per infortunio, ce ne sono 4 per malattie di origine professionale. Casi, però, che non compaiono nelle statistiche ufficiali.


fonte: www.terranews.it