venerdì 30 gennaio 2009

RIFORMA DEGLI ASSETTI CONTRATTUALI: UN ACCORDO CONTRO I LAVORATORI.

Le responsabilità di Governo, Confindustria, Cisl e Uil

Nicola Nicolosi (Coordinatore Nazionale di Lavoro Società Cgil)

Se l’accordo quadro riforma degli assetti contrattuali avesse l’obiettivo dello sviluppo economico, dell’occupazione e della produttività, le parti avrebbero delineato delle misure di ordine economico e finanziario che interessano la formazione, la ricerca e le infrastrutture. Invece, l’accordo, programma l’indebolimento, l’addomesticamento e il depauperamento del lavoro. Se l’intesa separata si presenta, formalmente, come un modello di contrattazione su due livelli, nazionale di categoria e decentrato (aziendale o territoriale) su tre anni, con 4 anni di sperimentazione, in realtà programma la scomparsa della contrattazione collettiva. L’unica funzione economica che dovrebbe avere il contratto nazionale sarebbe quella di adeguare i salari non all’inflazione vera, bensì a un tasso convenzionale, depurata dagli aumenti dei costi energetici. Il che significa programmare la discesa costante dei salari reali che nel corso di questi ultimi 10 anni hanno perso 10 punti di pil. Non a caso non si parla di politica dei redditi, obiettivo nobile, ma di efficiente dinamica retributiva. Un concetto economico che consegna le dinamiche salariali proprio a quelle teorie economiche e sociali che hanno trascinato tutto il mondo all’attuale crisi finanziaria. In qualche modo i contraenti dell’accordo quadro sono rimasti fermi a poco prima della crisi. Non a caso dei provvedimenti sulla crisi economica non c’è nessuna traccia. La stessa volontà di rafforzare gli enti bilaterali per allargare lo stato sociale presuppone lo svuotamento dello stato nell’erogazione dello stato sociale. I soggetti stipulanti non immaginano nemmeno lo stato minimo, piuttosto lo stato necessario al funzionamento del mercato. Un paradigma che è, ormai, discusso in tutto il mondo.
Riteniamo che il gioco sia andato troppo oltre e che si sia aperta una contraddizione nella applicabilità del contratto collettivo (limitata ai soggetti stipulanti, ma generale nel concreto). Quando gli svantaggi superano i benefici i lavoratori possono prendere le distanze e dichiarare che quegli accordi non li riguardano perché non iscritti ai sindacati stipulanti, e senza sacrificare alcunché. In particolare sono i riferimenti “economici” aziendali utilizzati per definire la produttività, e quindi le rivendicazioni salariali di II° livello, a sconcertare. Definire il valore della produttività in relazione al raggiungimento di obiettivi di competitività e andamento economico dell’impresa, significa abdicare a qualsiasi rivendicazione. Infatti, le imprese possono con estrema facilità modificare la propria contabilità attraverso l’aumento o la riduzione degli ammortamenti, l’aumento o la riduzione degli investimenti.
Non solo, ma declinare la contrattazione di II° livello al fine di intercettare le agevolazioni contributive e fiscali, si agganciano gli aumenti salariali di II° livello alle sole agevolazioni fiscali. In qualche modo è il fisco a pagare gli aumenti contrattuali. Un risultato che poco attiene alla politica dei redditi. Altro che allargare la contrattazione di II° livello e consolidare il I° livello. Questa è condizionata dal livello delle tasse e dal blocco di qualsiasi possibilità di scioperare durante la fase di “gestazione” della trattativa. Ma è la pubblica amministrazione a “subire” il peggioramento più marcato. Infatti, per il pubblico sono concessi adeguamenti salariali “gradualmente” e “condizionati” ai vincoli di finanza pubblica. Quindi i lavoratori pubblici devono “subire” il “datore di lavoro pubblico” e le “scelte di politica economica e finanziaria” del governo, per non parlare della evidente “limitazione” del diritto di sciopero per i sevizi di pubblica utilità.
La stessa scelta di regolare le “eventuali” controversie sulle regole a strumenti di conciliazione e arbitrato predefiniscono un modello di società a cui opporremmo la nostra ferma e risoluta opposizione.
L’accordo separato sulle regole e sul modello contrattuale, implica una risposta immediata di lotta. Questo atto apre il conflitto sociale nel Paese. Il sistema delle regole impone il pieno consenso, altrimenti tutte sono messe in discussione. Occorre generalizzare la lotta, a partire dai luoghi di lavoro, fino allo sciopero generale.
Nicola Nicolosi
Roma, 23 gennaio 2009