giovedì 4 dicembre 2008

Sentenza sulla responsabilità del preposto



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LA QUALIFICA DI PREPOSTO IN MATERIA DI PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI SUL LAVORO VIENE ATTRIBUITA FACENDO RIFERIMENTO ALLE MANSIONI EFFETTIVAMENTE SVOLTE IN AZIENDA PIU’ CHE IN BASE A FORMALI QUALIFICAZIONI GIURIDICHE.

Cassazione Penale Sez. III - Sentenza n. 22118 del 3 giugno 2008 - Pres. De Maio – Est. Lombardi – P. M. Izzo – Ric. D. L. C.
Commento.

Questa sentenza della Sez. III penale della Corte di Cassazione, pur riferendosi all’art. 4 del D.P.R. n. 547/1955, fornisce delle interessanti indicazioni sulla figura del preposto oggi specificatamente definito con il D. Lgs. n. 81/2008, contenente il testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, come la “persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa” ed al quale con l’art. 19 lo stesso D. Lgs. n. 81/2008 attribuisce dei precisi obblighi anche sanzionati di sorveglianza e di verifica.
Secondo la Corte di Cassazione, infatti, il conferimento della qualifica di preposto in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro deve essere attribuito facendo riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell’azienda più che in base a formali qualificazioni giuridiche per cui ne consegue che chiunque in una azienda assuma, in qualsiasi modo, una posizione di preminenza rispetto agli altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve essere per ciò stesso, a norma delle disposizioni di legge, considerato tenuto all’osservanza dell’attuazione delle prescritte misure di sicurezza ed al controllo che i lavoratori le rispettino.
Il caso in esame riguarda un infortunio occorso ad un lavoratore presso una macchina spargisale nel tentativo di ovviare ad un cattivo funzionamento del macchina stessa che si era inceppata mentre era intenta a spargere del sale su di una strada statale interessata da una nevicata. In particolare il lavoratore era salito sul cassone ed aveva rimosso la rete di protezione delle parti del macchinario in movimento allo scopo di rimuovere del sale ammassato che non riusciva a passare attraverso una tramoggia. Nel fare questa operazione il lavoratore aveva perso l’equilibrio ed era caduto all’interno del cassone, rimanendo incastrato con la gamba nell’asse rotante del meccanismo e riportando gravi lesioni personali.
Dell’infortunio e delle lesioni gravi personali subite dall’infortunato veniva considerato responsabile il capo cantoniere-capo squadra della stessa azienda nonché preposto alle operazioni al quale veniva addebitata la violazione delle disposizioni di cui agli articoli 47 e 49 del D.P.R. n. 547 del 1955.
La sentenza di primo grado aveva assolto il preposto attribuendo la responsabilità del sinistro in via esclusiva alla condotta imprudente dell’infortunato per avere questi proceduto alle descritte operazioni di propria iniziativa. I giudici della Corte territoriale hanno invece condannato l’imputato ritenendo maggiormente attendibile la versione dei fatti fornita dalla parte lesa, secondo la quale l’imputato che aveva accompagnato l’infortunato per risolvere l’inconveniente verificatosi nel funzionamento dell’automezzo spargisale, era rimasto sul posto, era salito inizialmente con lo stesso, lo aveva incaricato di collaborare con l’autista del mezzo per cercare di risolvere l’inconveniente e non gli aveva impedito di compiere la pericolosa operazione a seguito della quale era derivato l’infortunio sul lavoro.
Contro la sentenza di condanna della Corte di Appello l’imputato ha proposto ricorso in cassazione sostenendo che al momento dell’infortunio, così come dichiarato dal conducente dell’automezzo e poi confermato dal maresciallo accorso sul luogo dell’infortunio, erano presenti solo l’autista del mezzo e l’infortunato. L’imputato osservava inoltre che non aveva alcuna competenza in ordine al verificarsi di eventuali inconvenienti nel funzionamento dei macchinali esistendo all’uopo un’apposita sezione tecnica dell’azienda di appartenenza e di avere avuto, altresì, solo il compito di ispezionare la strada, dopo avere assegnato alla squadra il lavoro da svolgere. Lo stesso, pertanto, ha sostenuto di non ritenersi il destinatario delle prescrizioni di cui all’articolo 4 del D. P. R. n. 547 del 1955, non rientrando in alcuna delle categorie elencate nell’articolo 4 medesimo ribadendo, infine, che l’incidente si era verificato per esclusiva responsabilità dell’infortunato il quale ha violato le prescrizioni di cui all’articolo 6 del D. P. R. n. 547 del 1955 ed all’articolo 5 del D. Lgs. n. 626 del 1994.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso ed ha osservato che è stato “lo stesso ricorrente a precisare, sulla base della deposizione del (omissis), che egli svolgeva mansioni di sorvegliante e di capo squadra su tre tronchi stradali, sicché gli deve essere attribuita senza ombra di dubbio la qualifica di preposto, con il conseguente obbligo, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955 articolo 4 comma 1, lettera c), di impedire all’infortunato di effettuare l’intervento posto in essere in violazione delle prescrizioni in materia di sicurezza sul lavoro puntualmente specificate nell’imputazione ed oggetto di accertamento nella sede di merito”.
“Secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte - conclude la Sez III – “in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il conferimento della qualifica di preposto deve essere attribuita, più che in base a formali qualificazioni giuridiche, con riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell’impresa. Ne consegue che chiunque abbia assunto, in qualsiasi modo, posizione di preminenza rispetto agli altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve essere considerato, per ciò stesso, tenuto a norma del Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articolo 4, all’osservanza ed all’attuazione delle prescritte misure di sicurezza ed al controllo del loro rispetto da parte dei singoli lavoratori” (sez. 3, 199911406, Di Raimondo, RV 215065; conf. sez. 4, 199802277, Cichetti ed altro, RV 210263; sez. 3, 199902297, Moffa, RV 213156; sez. 4, 200343343, Marigioli ed altri, RV 226339)”.