venerdì 19 giugno 2009

Contrastare la precarietà, estendere i diritti, rivendicare aumenti salariali.


La CGIL non si è presentata alle elezioni. E’ evidente. La CGIL è autonoma. E’ chiaro! Dunque possiamo esentarci da qualsivoglia commento sull’esito delle elezioni europee, provinciali e comunali che si sono tenute il 6-7 giugno? Assolutamente no!
Il voto riflette, sebbene in modo non lineare e distorto, i rapporti di forza tra le classi sociali e in modo assolutamente trasparente il peso dei partiti politici nella società italiana.
Siamo ed eravamo consapevoli – è stato alla base del nostro formarsi come sinistra sindacale organizzata con un peso visibile in CGIL – che dalla ristrutturazione capitalistica degli anni ottanta, preceduta dalla scelta sindacale delle compatibilità della fine degli anni ’70 fino all’accordo capestro del luglio 1993 sulla contrattazione, il movimento operaio organizzato si è sempre collocato sulla difensiva e che via via, anno dopo anno, ha visto erodere le conquiste fatte nell’Italia del dopoguerra. La nostra è stata la generazione della resistenza (con la erre minuscola!) all’offensiva del capitale, ma anche quella del compromesso (senza storico), della rinuncia alla lotta per la trasformazione sociale e dell’adattamento. La controriforma Dini delle pensioni e il “pacchetto Treu”, l’una nata per dare un “assetto definitivo” al sistema previdenziale, legando le pensioni all’idea di una crescita infinita e alla finanziarizzazione dei risparmi (che si sono rivelate illusorie…) e l’altra “per porre un freno alla dilagante precarietà” (sic!) hanno contribuito a dividere il mondo del lavoro e ad annichilire ruolo e peso della classe lavoratrice nella società italiana.
Processi sociali e processi soggettivi non procedono di pari passo. Noi, che eravamo i “resistenti” (sempre con la erre minuscola, mi raccomando!) abbiamo continuato, confortati dalla radicalità di settori di massa a tenerci su una linea di classe, cercando di aggiornare l’analisi e dando vita ad un’esperienza organizzata dentro il sindacato che ha contribuito in modo decisivo alla stagione di lotta del 2002-2003 e che ha contribuito a sconfiggere per due volte, nella società prima che nelle urne, la destra oggi di nuovo al governo.
Oggi il quadro politico registra impietoso, con l’esito elettorale, che quindici anni di bassi salari, di precarietà, d’aspettative deluse hanno contribuito a creare nella società italiana uno spazio enorme, che cresce, per la destra egoista, xenofoba e antisociale e restringe lo stesso spazio d’azione e d’organizzazione per il sindacato, a partire dai luoghi di lavoro, dal rapporto con gli uomini e le donne che lavorano o che vorrebbero lavorare.
Mentre annaspa in una crisi economica profonda della quale non sa ancora immaginare la via d’uscita, la borghesia italiana – più ricca e sicura di sé – pensa d’avere comunque i margini per sottrarre al lavoro la ricchezza che le serve per attendere che il mercato “risolva” la crisi sulla pelle dei lavoratori.
Ho già detto in incipit che la CGIL è autonoma. Ma l’autonomia della CGIL non ha mai impedito un rapporto, prima da cinghia, successivamente di riferimento e di osmosi, alla fine di influenza reciproca con il Partito comunista e con la sinistra socialista. Di fatto, dalla nascita della repubblica, fino alla formazione del PD, la CGIL ha sempre trovato una sponda e un interlocutore nelle istituzioni.
Le scelte del PD che è equidistante tra padroni e sindacati e tra i sindacati stessi, il carattere altrettanto interclassista del movimento di Di Pietro e la sconfitta elettorale dei movimenti che considerano la CGIL il proprio interlocutore principale a livello sindacale (mi riferisco ai cartelli promossi da PRC e PdCI e da MRS e SD) mettono la CGIL in una situazione nuova nella quale la riaffermata autonomia si accompagna ad un isolamento nel panorama politico.
La situazione, dunque, non è favorevole né sul versante della crisi economica, né su quello dei rapporti di forza tra le classi sociali, né sul versante dei rapporti politici.
E’ il momento di confermare le scelte che ci hanno permesso di affrontare questa difficile temperie politica, senza illuderci che basti aspettare che passi la nottata per riprendere il cammino precedente.
La CGIL ha una sola opzione (o meglio le scelte possibili sarebbero tante, ma noi intendiamo una sola possibilità che le permetta di confermarsi come sindacato di classe, democratico e rappresentativo) quella di confermare la linea che ci ha impegnato in questi anni per contrastare la precarietà, estendere i diritti, rivendicare aumenti salariali. I tentennamenti su quella linea hanno pesato anche sui destini della sinistra politica (basta pensare al Protocollo sul Welfare del 23 luglio…).
Alle militanti e ai militanti della CGIL, si chiede una disponibilità al sacrificio, alla tensione ideale, assolutamente controcorrente. Alla organizzazione è chiesta la capacità di discutere, riflettere e prepararsi ad una fase difficile e inedita, nella quale la nostra unica forza sarà la capacità di coinvolgere i lavoratori.

Andrea Montagni
fonte:news.cgil.it/LavoroSocieta/