martedì 23 giugno 2009

I molti risvolti della proposta del contratto unico


L'attacco di Confindustria al CCNL avviene da tempo ed è a tutto campo. Non si esprime solo con
l'accordo separato ma anche con le deroghe, le devoluzioni di materie al 2° livello, e in molti altri
modi, tra cui la proposta del cosiddetto “contratto unico”.
La “nobile” argomentazione con cui settori politici e sindacali sostengono questa proposta è che
per ricomporre un mercato del lavoro duale (che in realtà è plurimo e articolato per settori, territori,
professioni, ecc.) bisogna ridurre un po' i diritti dei garantiti per estenderli ai non garantiti.
E' la solita logica dello “scambio”, usata anche per il rapporto tra i due livelli di contrattazione,
basata sul falso presupposto che ridurre il ruolo del CCNL aumenterebbe automaticamente quello
del contratto aziendale, quando è evidente che il sistema contrattuale articolato su due livelli o si
rafforza o si indebolisce nel suo complesso.
Ogni contrattualista sa che è nella natura del sindacato fare compromessi e anche scambi, ma, in
questo caso, è chiaro ciò che si perde con certezza, e che non c'è vera contropartita, che il
risultato finale non è la ricomposizione del mondo del lavoro ma l'inserimento di ulteriori diritti
differenziati che indeboliscono sia i “garantiti” che i precari.
Non è ragionevole pensare che il contratto unico potrebbe sostituire le varie forme di contratto, e
non solo perché i proponenti lo escludono esplicitamente.
Certo, si potrebbe dichiarare in modo provocatorio e paradossale che il contratto unico va bene se
passano tutti a tempo indeterminato. E' giusto rivendicare l'applicazione del principio europeo che
il rapporto di lavoro normale deve essere quello a tempo indeterminato. D'altra parte, se si passa
dai principi all'analisi concreta delle situazioni concrete, non si può non rilevare che alcune attività
(per esempio quelle stagionali in edilizia, agricoltura, pesca, turismo, ecc.) hanno caratteristiche
oggettive che impediscono oggettivamente l'assimilazione tout court ai tempi-indeterminati, ma
richiedono la contrattazione di normative specifiche di “avvicinamento” alle tutele più avanzate.
Viceversa lo “scambio” comporterebbe la perdita delle tutele dell'Art. 18 per un numero consistente
di lavoratori, ecc. (per brevità non ripetiamo le considerazioni, condivisibili, sviluppate da Patta in
un articolo su Liberazione del 27 maggio).
E, per tornare all'attualità dello scontro politico che caratterizza questa fase di resistenza
all'applicazione dell'accordo separato, dovrebbe oggi essere ancora più evidente (come lo è
sempre stato in passato nella Cgil) che un accordo interconfederale per un salario minimo e diritti
minimi per tutti, in questa situazione, si sovrapporrebbe inevitabilmente ai CCNL di categoria,
depotenziandoli, rendendone più difficile il rinnovo a partire dai settori economicamente più deboli
o con le controparti più ostili, fino a farli scomparire, con gli inevitabili riflessi sulla stessa natura del
sindacato.
Dunque quella del contratto unico, per dirla sinteticamente, è una proposta di destra, anche nelle
sue varianti più moderate. E tanto basterebbe.
Ma in una discussione nei gruppi dirigenti nazionali della Cgil, considerando anche le forme
specifiche con cui tale dibattito si svolge, si possono fare anche altre considerazioni.
Non essendo abituati all'”obliquità” dichiariamo che ci riferiamo, con rispetto, anche ma non solo,
alla (sia pur cauta) apertura al contratto unico contenuta nelle “riflessioni” di Peroni e Scarpa,
riflessioni che per altri aspetti sono condivisibili.
Premettiamo che se valutiamo positivamente una proposta, la sosteniamo anche se è stata
avanzata da uno schieramento avverso, perché si dovrebbe sempre giudicare sulla base del
merito e non per contrapposizione ad altri. Ma se le proposte, come nel caso del contratto unico,
vengono sostenute da esponenti dell'ala destra della Cgil qualche elemento in più di riflessione
dovrebbe porsi per chi si ritiene di sinistra, se non altro per cercare di capire dove starebbe
l'incongruenza.
Scrive il Riformista: “Sul contratto unico e sulla partecipazione dei lavoratori in azienda hanno
parlato su questo giornale il leader degli Statali, Carlo Podda, la segretaria confederale,
Nicoletta Rocchi e i senatori del Partito democratico, Franco Marini e Paolo Nerozzi,
chiedendo di aprire un dibattito su un tema che in Cgil è ad oggi un tabù. Invece, ai vertici
della confederazione, tutto tace. E i motivi sono sostanzialmente due. Il primo è che a
Guglielmo Epifani l'apertura di una certa parte della confederazione alla proposta di Boeri e
Garibaldi, poi “estremizzata” da Pietro Ichino, non convince. Ma non solo per questioni di
merito: le interviste al Riformista sono state interpretate da lui come dai suoi più stretti
collaboratori come l'apertura ufficiale della battaglia interna in vista del congresso del 2010.”
Non sappiamo quanto sia attendibile l'interpretazione del Riformista, perché non amiamo seguire il
gossip sul dibattito interno al PD, tanto meno le più o meno temporanee e disinvolte ridislocazioni
interne a quel partito tra i sostenitori di Franceschini e quelli di Bersani/D'Alema.
Ciò che preoccupa non è il naturale e fecondo riversarsi in Cgil di un dibattito politico nato altrove,
ma il rischio di un trasferimento in Cgil di uno scontro tra bande e gruppi di potere che veda
l'adesione a questa o quella proposta solo in funzione del posizionamento in vista del congresso e
della successione ad Epifani, con i rischi di degrado e di perdita dell'autonomia progettuale e
programmatica che si possono immaginare, riproponendo correnti e sottocorrenti di partito,
rinunciando alla coerenza e alla continuità con le scelte assunte unitariamente da tutto il gruppo
dirigente della Cgil nei vari Direttivi nazionali.
La sinistra sindacale potrebbe avere un ruolo molto positivo ed utile per l'insieme della Cgil
elaborando e sostenendo nelle pratiche una coerente linea politico-contrattuale (per difendere il
CCNL, per richieste salariali non ingabbiate nelle logiche delle “compatibilità”, per un concreto
impegno nel contrasto al precariato, ecc.) nella consapevolezza che siamo in una fase di
resistenza all'applicazione dell'accordo separato. Altrimenti rischia di articolarsi sulla base delle
logiche deteriori dette sopra, cosa che valutiamo negativa anche nel caso che molti scegliessero di
collocarsi dalla parte che riteniamo giusta.

Giovanni Mininni (Flai)
Giancarlo Straini (Filcem)
20 giugno 2009