giovedì 9 luglio 2009

Crisi, la Cgil riparte dal Sud. «Qui la crisi si paga doppia» Tredici proposte al Governo


1. Tredici idee per il Mezzogiorno. La Cgil pone al Governo l'opzione per uscire dall'impasse economico. E lo fa cominciando più che dagli ultimi dai "soli", nel senso di abbandonati. Abbandonati dal Governo, che si in tasca il Fondo delle aree sottoutilizza te (20 miliardi) e l'unica cosa a cui pensa per il futuro sono le gabbie sa lariali. Abbandonati dalla classe diri gente locale impegnata ad interpreta re in chiave conservatrice il vento leghista del Sud. Il Mezzogiorno, però, non viene certo abbandonato dai morsi della crisi, che qui moltiplica i suoi danni. «La crisi colpisce dove più profonde sono le diseguaglianze - sottolinea la segretaria confederale Vera La Monica, che ieri ha tenuto le conclusioni all'iniziativa di presentazione del documento della Cgil sul Mezzogiorno - mentre forze attive scompaiono letteralmente dal mercato del lavoro, con il pericolo che questa inattività si trasformi in un dato strutturale tale da cambiare radicalmente la stratificazione sociale». Di fatto, il Sud è addirittura oltre la crisi, nel senso peggiore del termine. Il dato macroscopico è quello di un pezzo di generazione che addirittura scompare dalle statistiche sulla disoccupazione. Le tredici idee della Cgil vanno dalla difesa del valore del lavoro, contro le gabbie salariali e la de-regolazione contrattuale, alla promozione del lavoro buono e legale e, al tempo stesso, allo sviluppo basato sulla diffusione disoccupazione e contrastare risolutamente le mafie, l'economia criminale e l'illegalità. Ma le due "tesi" messe in premessa nel documento raccontano più di tutto il resto quale deve essere il vero e proprio scatto in avanti in questa fa se: Mezzogiorno come banco di pro va della politica nazionale per affrontare e uscire dalla crisi e Mezzogiorno come questione nazionale. In poche parole, l'idea di quel Sud pre-federalismo fiscale che ha appassionato ge nerazioni di economisti e sociologi e rappresentato la carne e il sangue di grandi battaglie politiche e sociali. La Cgil prova a squadernare una pro posta che in realtà non ha niente di nuovo ma che tirata fuori in questo momento, tra crisi, federalismo fisca le e gabbie salariali, ha il sapore di rappresentare una sorta di "ultima chiamata".e della formazione, dell'istruzione e dell'economia della conoscenza al combattere la
L'obiettivo di Corso d'Italia, tra gli altri, è quello di superare «gli errori ed i limiti dell'Unione europea» rimetten­do in valore le politiche regionali co me strumento di convergenza e coe sione tra i territori dentro un «rinnovato modello di partecipazione». Del resto la solidarietà e la crescita degli strumenti della democrazia è una del le chiavi non solo per dare una direzione effettiva alle proposte ma anche per prefigurare una uscita "non steri le" dalla crisi. Cioè, se l'esito deve es sere un altro strato di assistenza ad uso e consumo dei potentati locali forse è meglio non partire per niente. E' per questo che la Cgil insiste molto sul lavoro, in tutti i suoi aspetti: sia per quanto riguarda la precarietà, «brodo di coltura dell'illegalità e del malgoverno», sia come «perno di una nuova politica di alleanze». Nel pia no del sindacato, infine, c'è anche la tutela del territorio e l'investimento sullo Stato sociale. Secondo Emiliano Brancaccio, docente di Economia presso l'Università del Sannio, intervenuto ai lavori, il testo testo della Cgil «doveva segnalare una maggiore discontinuità rispetto alle pratiche politiche del passato». «In particolare - aggiunge Brancaccio - bisognava chiarire che la cosiddetta politica della nuova programmazione che è stata attuata in questi anni al Sud era una politica subalterna ai co siddetti meccanismi spontanei. Considerato che oggi abbiamo con questa spaventosa crisi delle dimostrazioni evidenti di irrazionalità di quei meccanismi di mercato bisognerebbe cambiare strada». Brancaccio fa l'esempio di anni e anni in cui le ban che anche italiane hanno preso le risorse finanziarie dei meridionali poi utilizzate non sul territorio «ma per operazioni speculative presso i centri della finanza internazionale». «Fino a ieri ci dicevano che queste erano le leggi del mercato e bisognava rassegnarsi - conclude Brancaccio. Oggi c'è la prova schiacciante del fatto che quei profitti che le banche inseguiva no erano profitti basati sulle bolle speculative»

Fabio Sebastiani

fonte: liberazione