sabato 18 aprile 2009

Il rinnovo del CNNL industria alimentare



Alcune considerazioni di Giovanni Minnini
La questione del rinnovo dei CCNL assume, oltre al valore in sé, anche un grande significato generale, perciò ritorno sui temi trattati nel mio comunicato dell'11 marzo scorso perché credo sia importante argomentare e approfondire meglio alcune questioni che ho trattato troppo sinteticamente. Ho così l’opportunità di recuperare anche qualche refuso ed errore di battitura che anche c’è stato. 

Innanzi tutto voglio partire dall’importante risultato che martedì scorso è stato ottenuto a Chianciano, dove 700 tra quadri e delegati di Fai-Cisl Flai-Cgil e Uila-Uil di tutta Italia hanno approvato con soli 5 voti contrari la Piattaforma unitaria per il rinnovo dei CCNL industria alimentare e cooperazione. Un risultato al quale Lavoro Società-Flai ha fortemente contribuito e che rivendica pienamente, confortati anche dal fatto che la piattaforma è stata approvata da oltre il 95% dei lavoratori dell’industria alimentare in una consultazione con voto certificato che si è svolta con diverse centinaia di assemblee. Ciò dimostra che avevamo visto giusto e che i nostri delegati e i lavoratori ci hanno anche sostenuto. 

Si tratta, e insisto su questo aspetto, di definire prima di tutto il contesto in cui si collocano, in questa situazione nuova, i rinnovi contrattuali, soprattutto per evitare comportamenti che si possono trascinare per inerzia dalla situazione precedente. L’accordo separato del 22 gennaio segna uno spartiacque nella politica contrattuale del nostro paese e rappresenta uno degli strumenti con i quali questo governo di destra intende rispondere alla crisi: la compressione dei salari. Il movimento sindacale non si trova in una fase offensiva nella quale può immaginare di sbaragliare il governo e il blocco sociale da esso rappresentato. E’ rimasta solo la CGIL a difendere interessi sociali delle classi deboli o minacciate dalla crisi e lo fa in un deserto della politica che fa paura. Gli altri sindacati hanno condiviso le politiche del governo e nel breve-medio periodo non si intravedono possibili ricomposizioni di una forte unità sindacale. 
In CGIL permangono posizioni di destra che, anche se non apertamente, criticano il “massimalismo” di Epifani pensando che si possa rientrare, con qualche aggiustamento, nell’accordo del 22 gennaio e posizioni di sinistra dove si pensa, con una buona dose di ottimismo, che si possa ripartire da soli per rinegoziare a breve un positivo accordo per i lavoratori. 
Siccome penso che a breve-medio termine non ci siano le condizioni per fare un buon accordo sulle linee guida, il nostro compito concreto è rendere inapplicabile l'accordo separato. 
L'obiettivo delle controparti è destrutturare i contratti nazionali. Pertanto non riuscire a rinnovare i CCNL sarebbe una nostra sconfitta. 
Sarebbe sbagliato anche prendere semplicemente tempo (con accordi ponte o altre soluzioni creative, proprio perché sulle linee guida non è possibile una soluzione a breve “di destra” o “di sinistra”). 
Non credo che la strada dei “precontratti” azienda per azienda sia perseguibile, tanto meno in un settore caratterizzato da tante piccole e medie aziende come è quello alimentare. E anche perché sarebbe un’azione difensiva e non di avanzamento. 
C’è però il rischio di trovarsi di fronte a soluzioni diverse adottate nelle varie categorie, a seconda dei rapporti di forza che si riesce ad esprimere. 
Assume perciò un significato ancora più importante il coordinamento confederale della contrattazione al fine di mantenere una coerenza strategica. 
In questo contesto che chiamerei di resistenza, senza voler evocare nessun periodo storico passato, non è immaginabile perciò che l’unica soluzione sia quella di presentare a priori piattaforme separate per il rinnovo dei CCNL senza aver tentato prima la strada di una possibile mediazione che porti a piattaforme che svuotino o depotenzino l’accordo separato del 22 gennaio. Sarebbe davvero rinunciare al nostro ruolo sindacale. 
E’ chiaro che se questo tentativo dovesse fallire, allora si deve presentare la piattaforma da soli. Per la CGIL sarebbe uno smacco insopportabile che una sua categoria facesse una piattaforma che recepisse i contenuti dell’accordo separato del 22 gennaio. 
Nel nostro settore questo è stato scongiurato. Il capillare percorso di approvazione della piattaforma ha vissuto momenti di tensione abbastanza forte, soprattutto con la Fai-Cisl, che ha portato anche ad attivi di delegati separati in alcune regioni. L’approvazione della piattaforma a Chianciano vincola, col mandato dei lavoratori, Fai Flai e Uila ad essere coerenti con i contenuti ma bisogna avere la consapevolezza, soprattutto per quello che accadrà in questi giorni con l’accordo con Confindustria che attuerà le indicazioni del 22 gennaio, che in ogni momento della trattativa ci si potrà trovare davanti a una rottura, anche provocata dalla controparte, che ci imporrà la scelta di andare da soli. Su questa eventualità il Comitato Direttivo nazionale della Flai si è già espresso bene, assumendo all’unanimità (con 1 solo voto contrario) l’impegno a tornare subito dai lavoratori per una consultazione con referendum. 
Non mi convince il voler imporre a Fai e Uila un impegno preventivo in caso di rottura perché non c'è accordo unitario preventivo che regga (vedi CCNL Commercio) o che sia esigibile. Credo di più nel costruire le condizioni per farci capire e seguire dai lavoratori nel caso la rottura diventasse inevitabile attraverso una costante e precisa informazione sulla trattativa in corso. 
Ma a fugare ogni possibile dubbio, affermo anche che, ovviamente, i CCNL non vanno firmati ad ogni costo. 

Proprio per questo sarà una trattativa molto difficile, che se si aprirà, sarà tutta in salita. 
Nonostante le difficoltà, questa fase potrebbe essere utile per indicare possibili strade alternative in risposta alla crisi attuale coniugando ad esempio l’incremento dei salari con il contrasto alla precarietà, quale via contrattuale da percorrere per non far pagare la crisi ai lavoratori. 

L’altro aspetto del contesto su cui occorre fare una riflessione è che la crisi (gravissima, tipo 1929/30) comporterà per un certo numero di anni un andamento dell'inflazione estremamente basso, anche a causa degli effetti prevedibili che purtroppo si scaricheranno ancora più di oggi sull'occupazione e sui consumi dei lavoratori. 
Pertanto non avrà più senso vincolarsi ad indici indicativi del costo della vita o del potere d’acquisto dei salari. La questione dell'indice (IPCA), depurato o meno dall'inflazione dei prezzi energetici importati, potrebbe avere un significato politico-simbolico, ma non ha alcun effetto pratico a breve-medio termine. Anzi, se non si pensa che la ripresa sia alle porte, gli indici depurati o meno saranno più o meno equivalenti e sarà difficile spiegare ai lavoratori che la grande battaglia della Cgil si traduce in una differenza di pochi euro in più o in meno. 
E inoltre, in una situazione così diffusa di preoccupazione per il futuro e per il proprio posto di lavoro, sarà difficile chiamare i lavoratori allo sciopero se la rottura del contratto non sarà su questioni importanti quali il salario, l’occupazione stabile o, in generale, il rispetto delle piattaforme approvate. 

Ma vorrei tornare anche su alcuni aspetti di merito della nostra piattaforma. 
La scelta della durata triennale non vuol dire di per sé l’adesione all’accordo del 22 gennaio, come non è stata una “pre-adesione” il rinnovo triennale del pubblico impiego, dei bancari, o gli allungamenti della durata fatti da altre categorie (ad es. TLC). 
Eravamo di fronte alla possibilità di chiedere legittimamente il semplice rinnovo del biennio economico o di affrontare il rischio, ma anche l'opportunità, di un rinnovo anche normativo. Abbiamo consapevolmente scelto la seconda strada prendendo anche a riferimento un patrimonio di discussione che in Flai vive dalla nostra Conferenza di Programma del 2003 e cioè la triennalità. 
Il punto vero non è la durata di tre anni in sé ma il merito, in particolare la quantità salariale richiesta per la vigenza del contratto. 

Facciamo “quattro conti” che dimostrano concretamente, sulla questione della quantità salariale (facilmente comprensibile anche dai lavoratori meno sindacalizzati), la distanza della piattaforma dall'accordo separato del 22 gennaio. 
Accordo separato del 22 gennaio 2009 2010 2011 totale 
*Centro studi Confindustria IPCA depurata 1,8% 1,3% 2% 5,1% 
Centro studi Confindustria IPCA 1,0% 1,6% 2% 4,6% 
*dati del centro studi di Confindustria pubblicati sul “Sole 24 Ore” del 27/01/09 
aumento nel triennio pari a: 
Ipotesi IPCA depurata 4,60% x valore punto 15,50 € 71 € 
Ipotesi IPCA non depurata 5,10% x valore punto 15,50 € 79 € 
Nostra piattaforma 9,80% x valore punto 17,70 € 173 € 

Proprio per le considerazioni che ho fatto sopra sul valore degli indici è importante che la richiesta fatta sia una cifra secca, sganciata da qualsiasi parametro, “arbitraria” (del tipo: almeno i tre mezzi della volta precedente), non frutto di una concertazione subordinata, non legata a tecnicismi su questo o quell'indice, derivante semplicemente dalle esigenze dei lavoratori di aumentare i salari (sia pure con il realismo della fattibilità), dichiarando ai lavoratori che riusciremo o meno ad ottenere le richieste se svilupperemo adeguati rapporti di forza, quindi facendo appello al loro protagonismo. 
Se si chiedessero aumenti sulla base di un indice, migliore o peggiore che sia, comunque si dovrebbe chiedere molto meno di quello che abbiamo ottenuto negli scorsi anni. Qualsiasi automatismo, la stessa scala mobile, perde di significato concreto in questa situazione. Per questo motivo dobbiamo rivendicare una nuda cifra. 
E l’aver inserito una verifica nell’arco di vigenza del CCNL è utile ai fini di un monitoraggio sullo stato dei salari ma anche per un loro ulteriore incremento svincolato, ancora una volta, da indici in un contesto di crisi. Dobbiamo rifiutare che la contrattazione sindacale sia ridotta a mera pratica “notarile” di applicazione di percentuali decise altrove. 
La mera cifra di 173 € richiesta in piattaforma alimentaristi dimostra concretamente la distanza dall'accordo separato del 22 gennaio: 100 € in più di richiesta salariale parlano da soli anche ai lavoratori meno coscienti, meglio di 100 sottili distinzioni in sindacalese! 

Altrettanto chiaro e qualificante è il legame evidente in piattaforma tra lotta per aumentare i salari e lotta alla precarietà, con la richiesta di contenere nel 25% il tetto massimo per tutte le tipologie di contratti a tempo determinato, richiesta importante vista la forte stagionalità presente nel nostro settore (i panettoni non si possono produrre in gennaio) e il grosso utilizzo di queste tipologie di contratti. Inoltre questo aspetto è stato migliorato a Chianciano dove sono stati recepiti alcuni emendamenti che ne hanno migliorato la formulazione. Certo, si può discutere sulla percentuale, ma ora non c’è nulla, e non mi sembra che ci sia molto nei contratti di altre categorie. 

Un altro aspetto positivo dell'ipotesi di piattaforma unitaria è quello che non c'è. Grazie alla fermezza della Flai si è riusciti a respingere le deroghe, le devoluzioni al secondo livello, le limitazioni al diritto di sciopero e i ”raffreddamenti di controversie”. 
Anche da questo punto di vista non si comprende come si possa continuare a dire che si recepirebbe l’accordo separato del 22 gennaio. 

Anche il punto sulla bilateralità, sebbene il testo non esprima tutta la chiarezza che avremmo voluto per le mediazioni fatte con le altre organizzazioni sindacali, è accettabile, non solo perché sono state respinte le esplicite richieste di riferimento al DL 2/09, ma anche perché l'interpretazione della Flai è netta e già esplicitata con comunicati alle strutture e con l’ordine del giorno approvato nell’ultimo CDN: le integrazioni al salario vanno intese come richieste riferite ad istituti come la maternità e la malattia. 
Questo non ci garantisce dal fatto che possano emergere problemi durante le trattative, ma resto convinto che ci dovremo adoperare affinché le soluzioni vengano trovate per via contrattuale senza la creazione di Enti Bilaterali inutili per i lavoratori e soprattutto che non siano sostitutivi della contrattazione o svolgano attività di intermediazione di manodopera. La valutazione di rompere eventualmente solo su questo punto e in maniera efficace verrà fatta al momento in cui si porrà in trattativa visto le questioni che ponevo sopra. E chiederemo di farlo a tutta la Flai. 
La richiesta dell’istituzione della sanità integrativa per il settore ci ha visto, e ci vede, da sempre contrari, ma non possiamo non rilevare la contraddizione che tutte le grandi aziende del settore (Galbani, Barilla, Ferrero, Sammontana, ecc.) ce l'hanno aziendalmente e i lavoratori se la vogliono tenere. 
Credo che, in tutta la CGIL, vada affrontata in modo più approfondito una discussione sul tema della bilateralità e del welfare contrattuale, anche per definire una prospettiva di lungo periodo. Non possiamo però eludere le questioni concrete ed immediate che la realtà ci impone qui ed ora, perché altrimenti i lavoratori non ci capirebbero e non si possono lasciare da sole le categorie nel prendere decisioni in “ordine sparso”. 

Infine è stato confermato il percorso democratico, anche questo per nulla scontato, che è certamente un punto qualificante, anche rispetto ad altre categorie. 
Il voto dei lavoratori è certificato, sia in andata che al momento dell’ipotesi di accordo raggiunta. In ogni fabbrica il 20% dei lavoratori poteva richiedere anche la modalità del referendum per esprimere il proprio voto. 
Sarà certamente un percorso difficile, non scontato. Ma rimango convinto che era l’unica strada da percorrere per tentare di fare il contratto. 
Saremo attenti a che durante il confronto non ci siano compromessi inaccettabili sulla qualità e quantità delle richieste, ma alla luce anche dei risultati della consultazione, siamo convinti di confermare il nostro giudizio complessivamente positivo sulla piattaforma. 
Roma, 27-3-2009 Giovanni Mininni 
Coordinatore nazionale Lavoro Società Flai-Cgi