mercoledì 29 aprile 2009

PRIMO MAGGIO


ENTI BILATERALI:COGESTIONE PERICOLOSA
Forse il Primo Maggio le bandiere di Cgil, Cisl e Uil torneranno a sventolare insieme nella stessa piazza. È un evento di questi tempi. I vertici delle tre confederazioni sindacali non sono mai stati così divisi, al limite dell´incomunicabilità. Li separa una visione diversa non solo delle regole della contrattazione, ma anche del ruolo del sindacato. È una frattura che si consuma in gran parte sulla nozione di bilateralità tornata in auge in questa legislatura soprattutto per iniziativa del ministro Sacconi.Cos´è la bilateralità? Il riferimento storico è all´esperienza dei cosiddetti "enti bilaterali", presenti soprattutto tra gli artigiani, nell´edilizia e in agricoltura. Si tratta di associazioni formalmente non riconosciute, volte a gestire risorse comuni a più imprese, come assicurazioni contro la disoccupazione e fondi che finanziano riduzioni temporanee di orario in alcune aziende, in collaborazione fra datori di lavoro e organizzazioni dei lavoratori. Ma il Ministro Sacconi, che infila un richiamo alla bilateralità in ogni suo discorso, ne ha in mente un´accezione più estrema. In una recente riunione dei quadri sindacali della Cisl, ha definito la bilateralità come una forma di "controllo sociale organizzato", di "governo del mercato del lavoro". E intende estenderla oltre che alla gestione delle cosiddette politiche attive del lavoro, alla scelta dei beneficiari degli ammortizzatori sociali, alla fornitura di servizi di collocamento a chi è in cerca di lavoro, alla gestione della legge Bossi-Fini sull´immigrazione, ai controlli sul rispetto delle norme sulla sicurezza sui posti di lavoro e, addirittura, alla gestione di previdenza e sanità. Passo dopo passo. Il termine forse più appropriato per questa strategia del titolare del dicastero di via Veneto dovrebbe essere delega alle parti sociali di funzioni altrimenti (e altrove) esercitate dallo Stato. 
Ci sono tante ragioni per ritenere questa strategia inquietante, se non pericolosa. Primo, anche in un paese, come il nostro, con un´amministrazione pubblica inefficiente, non è affatto detto che le parti sociali siano più efficienti dello Stato nella gestione di risorse pubbliche. Pensiamo a cosa sono state le politiche attive del lavoro in Italia, gestite sin qui all´insegna della bilateralità. Costano di più degli strumenti di sostegno al reddito dei disoccupati, assorbono quasi due miliardi di euro all´anno, senza che esista alcuna valutazione sistematica della loro efficacia. Il sospetto legittimo è che molti corsi di formazione gestiti dagli enti mutualistici servano unicamente a finanziare i formatori anziché a offrire nuove opportunità professionali a chi dovrebbe essere riqualificato. Secondo, anche quando le risorse vengono gestite in modo abbastanza efficiente – è il caso della Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria (Cigo) i cui costi, come è giusto, quasi si azzerano durante le fasi espansive per aumentare solo nelle fasi di recessione – la gestione bilaterale tende a essere fortemente selettiva, riguarda solo una minoranza di lavoratori e di imprese, quelli rappresentati dai sindacati e da Confindustria. Quindi la delega finisce per accentuare la selettività, l´iniquità, dei nostri strumenti di sostegno al reddito. In questi giorni, ad esempio, il Governo ha concesso alle parti sociali un´estensione della durata della Cigo. Bene, ma il vero problema è che la Cigo oggi è accessibile solo da un lavoratore su quattro. E agli altri, chi ci pensa? Terzo, quella concessa dal Governo non è mai una delega in bianco. Si offrono potere e risorse sempre in cambio di qualcosa. Legittimo trovare compensazioni per alcuni gruppi di interesse quando si devono attuare delle riforme. Ma in nome di quale progetto il Governo sta oggi cercando di comprare il consenso di parte del sindacato o delle organizzazioni datoriali? Vuole riformare le pensioni o il mercato del lavoro, intaccando alcuni interessi presidiati da queste organizzazioni? Oppure vuole tagliare molti trasferimenti alle imprese cristallizzatesi nel corso del tempo, razionalizzando la spesa pubblica? Non si ha alcuna traccia di queste riforme. Tremonti, Brunetta e Sacconi le escludono a priori. L´impressione è che l´esecutivo voglia solo garantirsi un atteggiamento compiacente verso l´immobilismo che ha contraddistinto sin qui la sua strategia di politica economica, magari riuscendo anche a dividere il sindacato. Certo, si dirà, in tempi di crisi è bene garantirsi la pace sociale, non avere organizzazioni sindacali o datoriali sul piede di guerra. Vero, ma il rischio è che le tensioni sociali e distributive che non trovano voce nel sindacato cerchino altrove espressioni ben più conflittuali e pericolose per la coesione sociale. Il caso francese, dove il sindacato praticamente non esiste più sui posti di lavoro, è eloquente riguardo alle degenerazioni cui la crisi può portare. Guai, dunque, se la "bilateralità" proclamata in tutte le occasioni dal Ministro Sacconi venisse vissuta dai lavoratori come una strategia per comprare il consenso di chi li dovrebbe rappresentare, come a una specie di "lato b" del sindacato. La bilateralità va difesa come esperienza locale di cooperazione soprattutto fra piccole imprese e lavoratori sul territorio, nel promuovere risorse comuni, private, come i marchi di qualità. Può essere un buon strumento integrativo, che si aggiunge, ma non sostituisce, a prestazioni fornite dallo Stato. Forse ci dovrebbe essere una denominazione di origine controllata anche per il termine "bilateralità": cooperazione spontanea, volontaria, fra organizzazioni di lavoratori e datori di lavoro nella gestione di servizi comuni. Senza alcuna delega, senza alcuna spinta (e relativo trasferimento), dallo Stato. 
Tito Boeri
29/04/2009 |  Repubblica |  Sindacato
FONTE ;www.cgil.it