martedì 12 maggio 2009

STOP PRECARIETÀ

Combattere la precarietà.

Il "contratto unico" non è una soluzione accettabile

Sulla stampa moderata, “ma di centrosinistra”, è ripresa con enfasi la campagna per rilanciare la contrapposizione tra lavoratori insider ed outsider, cioè tra lavoratori occupati a tempo indeterminato e lavoratori precari.

Al centro di questa campagna, ancora, il dilagare delle forme di lavoro precario che nella crisi appaiono ancor più crudeli e discriminatorie, per utilizzarle contro i lavoratori maggiormente tutelati, cercando di far passare il principio (ci provarono anche con l’articolo 18) che i diritti conquistati sono privilegi, e che la “soluzione” equa è quella di abbassare le tutele a chi c’è le ha per darne qualcuna in più a chi non le ha.

E’ una campagna insidiosa che trova nuovi proseliti conquistati, certo con modifiche, perbacco!, dalle proposte di Boeri e Ichino sul contratto unico d’inserimento.

Scopriamo così che la semplicità del principio “ad eguale lavoro, eguale salario e uguali diritti”, andrebbe sostituito con una “gradualità” e che la soluzione al problema della dilagante precarietà sarebbe quello di un “contratto unico” d’inserimento con meno tutele e meno diritti, “per ridurre le forme di precarietà, si capisce. E pace se per questa via si farebbe la stessa cosa che aveva proposto Sarkozy in Francia che aveva provato a creare un periodo di precarietà garantito per tutti i lavoratori in occasione dell’instaurazione di qualsivoglia rapporto di lavoro…

Noi di Lavoro Società pensiamo ancora che quanto abbiamo praticato nel 2002, quando rifiutammo il Libro bianco e ci opponemmo al Patto per l’Italia, sia attuale e costituisca la bussola per l’azione sindacale di contrasto alla precarietà.

Abbiamo definito “un concetto allargato della dipendenza economica come fondamento dei diritti, delle tutele e dei costi cui deve far fronte l’impresa, attraverso una ridefinizione di lavoratore economicamente dipendente cui far corrispondere l’equiparazione dei diritti e dei costi.

Questo vuol dire fare del contratto di lavoro a tempo indeterminato la normale forma di lavoro e d’assunzione per l’ordinaria attività d’impresa e quindi limitare i contratti flessibili ad una mera eccezione. Vuol dire ridurre le tipologie non a tempo indeterminato, non solo attraverso interventi legislativi e contrattuali che puntino ad una loro progressiva stabilizzazione, ma anche attraverso un aggravamento del costo unitario.”

Nessuno dovrebbe fare il furbo: creare un nuovo contratto d’inserimento, unico per tutte le tipologie di lavoro, che sospenda o non riconosca per un periodo di tempo tutele, diritti e salario non significa “ridurre i contratti flessibili a mera eccezione”. Significa farne una regola generalizzata, con un’opera di semplificazione che servirebbe soltanto a ridurre il contenzioso di vantaggio per i lavoratori e approfondirebbe in tutti i posti di lavoro il contrasto generazionale, aggravando le divisioni, favorendo la desindacalizzazione delle nuove generazioni.

Sarebbe bene che in tutte le categorie – come risposta forte a questa campagna contro i diritti – ripartisse la mobilitazione contro la precarietà. Sono i ritardi in questa lotta – e non la mancanza di fantasiose proposte di compromesso sui diritti - che indeboliscono il sindacato.

Dobbiamo riprendere lo spirito e la lettera della grande mobilitazione del 4 novembre 2006 per la manifestazione “Stop precarietà”!

 Nicola Nicolosi  “ Coordinatore Nazionale Lavoro Società - Cgil”